Nessuno ne sentiva il bisogno, ma le parole di Letizia Moratti hanno aperto un nuovo fronte polemico nella battaglia contro il Covid. L’ex ministro e neo-vicepresidente della Lombardia ha suggerito al commissario Domenico Arcuri di integrare i criteri di distribuzione dei vaccini anti-Covid tra le Regioni considerando anche mobilità, densità abitativa, zone rosse e il contributo che ciascuna regione dà al pil nazionale. In questo modo la Lombardia avrebbe diritto a un maggior numero di dosi perché più ricca e capace di generare più benessere rispetto, per esempio, alla Basilicata. Immediata la reazione del governatore campano Vincenzo De Luca: «Siamo a un passo dalla barbarie». E, alla fine, la Moratti si è sentita in dovere di rettificare, seppure parzialmente, le sue affermazioni: «Il pil è un indicatore economico-finanziario che attesta l’attività di una Regione che è il motore dell’Italia: in questo senso la Lombardia ha la necessità di essere tenuta in considerazione».
Sono diversi gli aspetti di questa vicenda che colpiscono. Il primo è che una donna storicamente equilibrata come Moratti si abbandoni a esternazioni che qualcuno si sarebbe aspettato da Giulio Gallera, l’assessore di cui la stessa Moratti ha preso il posto e che, prima di essere estromesso dalla giunta lombarda, aveva dichiarato di non avere alcuna intenzione di richiamare i medici dalle ferie per destinarli all’attività di vaccinazione. Le parole della vicepresidente lombarda testimoniano il momento di smarrimento di cui la Lombardia e il suo servizio sanitario sono protagonisti da un anno a questa parte. Basti pensare che, allo stato attuale, a Milano e dintorni è stato somministrato l’80% delle dosi di vaccino assegnate: una performance nettamente meno brillante rispetto a quella offerta dalla Campania che, con il 102%, svetta nella classifica delle Regioni più rapide a inoculare l’antidoto al Covid sebbene al suo servizio sanitario manchino circa 15mila tra medici, infermieri e amministrativi.
Le parole della Moratti, però, rischiano di sortire un effetto ben più grave: quello di alimentare quella contrapposizione tra Nord e Sud di cui, soprattutto in questo preciso momento storico, non c’è alcun bisogno. Sommare il criterio del pil nella distribuzione dei vaccini ai discutibili principi sulla base dei quali viene ripartito il fondo sanitario nazionale, significa abbandonare molte Regioni del Sud (a cominciare dalla Campania che è quella che dallo Stato riceve meno) proprio nel momento la lotta contro il Covid impone di sostenerle riequilibrando rapporti istituzionali e assegnazione di risorse. Dalla pandemia, inoltre, si esce solo a patto che ne escano tutti, cioè se si rimettono in moto meccanismi produttivi e dinamiche relazionali che il Covid e le misure anti-contagio hanno travolto. Che la Lombardia completi la campagna vaccinale con largo anticipo, come la Moratti vorrebbe, serve a poco. Stesso discorso per la Campania che De Luca vuole prima Covid-free in Italia e in Europa. Se l’obiettivo è l’immunità di gregge, il fatto che una Regione immunizzi la popolazione prima delle altre rappresenta solo una tappa di quel percorso ben più lungo e complesso che conduce al traguardo del 70% di vaccinati. Ciò che conta è che tutte le Regioni – e, su scala mondiale, gli Stati – procedano speditamente nella campagna vaccinale senza lasciarsi tentare da improbabili fughe in avanti: è indispensabile per sconfiggere il virus, tornare a una vita normale e far ripartire l’economia mondiale.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.