La rubrica culturale
Nella notte il cane, un viandante solitario alla ricerca di un senso
Il terzo titolo di “S-confini”, collana di letteratura che naviga sul bordo delle categorie di genere, pubblicata dalla napoletana Editoriale Scientifica, è firmato dal suo curatore, Fabrizio Coscia e nel titolo esprime la sua qualità principale di stile e di scelta dell’oggetto del racconto: Nella notte il cane (pp.152, euro 13), infatti, evoca, ipotizza, interroga insieme con il suo autore – viandante solitario nella notte della ricerca di un senso e di una direzione – e, soprattutto insieme col suo cane, Pedro.
Coscia adopera gli strumenti che i suoi lettori già conoscono bene, quella interrelazione qui particolarmente sincera, naturale, immediata tra vita privata, ricordo autobiografico, analisi del sentimento personale, e vita della e nella letteratura. E così il lettore troverà capitoli dove a Pedro, Linda, il padre di Fabrizio, il gatto del padre di nome Filippo, Posillipo, la fatica di trovare una vena autentica di ispirazione nella scrittura nel frangente storico che viviamo, si affiancano, in un cammino condiviso tra ombre amate che leniscono lo spaesamento della solitudine e della morte, Kafka e alcuni frammenti dei suoi diari, Mann e il suo cane Bauschan, Dickinson e l’amato Carlo, e ancora Argo e Odisseo, Foster Wallace e il suicidio nonostante gli amati cani, Coetzee e le numinose conferenze di Elizabeth Costello. La traccia costante di questi capitoli canini e umani mi sembra stia soprattutto nello stupore, nel senso di meraviglia che l’autore trasmette al lettore ogniqualvolta sulla pagina incontra lo sguardo di Pedro, i suoi movimenti di animale, il suo “sentire” che dà accesso a una forma di comprensione della realtà più profonda e, soprattutto, silenziosa.
Ripercorrendo l’incontro tra Argo e Odisseo, Coscia evidenzia che “in greco, il verbo νοέω usato da Omero al momento dell’incontro, riferito al cane, vuol dire “sentire, percepire”. Argo non ha bisogno nemmeno di vedere per riconoscere il suo padrone”. Ed è questo, in fondo, un libro abitato da un grande silenzio: quello della paura dell’ignoto, e della mancanza di parole per inaridimento della fibra vitale, da un lato, e quello della pacificazione che Pedro aiuta a conseguire attraverso il suo amore incondizionato. In questo senso, Nella notte il cane è anche un testo leopardiano (del quale Coscia ricorda l’annotazione con cui ha inizio lo Zibaldone), ma soprattutto, con vigore etico per certi versi militante, si iscrive nella nobile costellazione delle opere che richiamano la nostra sensibilità a farsi custode e difensore strenuo della dignità degli animali. Del loro diritto a non essere quotidianamente sopraffatti dalla nostra violenza crudele.
È questo che possiamo mettere in atto per ripagare la missione angelica degli animali: Coscia coglie questa misteriosa capacità del cane (più in generale, degli animali con cui entriamo in un contatto più profondo) di essere per noi porte aperte sulla relazione tra i nostri io appesantiti da sé stessi e l’opera della creazione. Di quella relazione evocata dai primi due versi della poesia 520 di Emily Dickinson che chiudono uno dei capitoli di questo libro d’amore: “Sono uscita Presto, presi il mio cane, e visitai il Mare ”.
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