Se è vero che la civiltà di un paese si misura dalle sue prigioni, non si dovrebbe temere di attuare un provvedimento “svuotacarceri”. Invece si ha pudore, e lo stesso ministro Carlo Nordio, autore di una svolta riformatrice che va giudicata in modo positivo, preferisce parlare di “umanizzazione” dell’esistente. Come se lo stesso numero elevato dei prigionieri, con un sovraffollamento del 130 per cento e 49 suicidi di detenuti più cinque di agenti nel primo trimestre di quest’anno non fossero già un fallimento dello Stato. E non si dovesse invece considerare un benefattore colui, magari lo stesso guardasigilli, che riuscisse a rendere concreto il pensiero di Voltaire. Umanizzare è importante, ma svuotare è altra cosa. E non riempire è altra ancora.

Così succede che, nelle stesse ore in cui il governo approvava il decreto che non si chiama “svuotacarceri” ma il cui fine ultimo, soprattutto quando si realizzerà lo spostamento in strutture specializzate di tossicodipendenti e malati psichici è quello di ridurre la popolazione prigioniera, in un altro luogo di giustizia, il Csm, risuonava un termine che con le prigioni ha molta vicinanza, la custodia cautelare. Il vicepresidente Fabio Pinelli, nel prendere le distanze da una circolare delle toghe, che vorrebbero, antica aspirazione fin dai temi di Tonino Di Pietro, dare più potere e visibilità a ogni singolo “sostituto” rispetto al capo dell’ufficio, ha ricordato la rilevanza che nel processo ha ormai assunto la fase delle indagini preliminari. Quella in cui si distruggono le reputazioni e la stessa vita delle persone indagate. È quello di cui non si tiene mai conto quando ci si stracciano le vesti perché un ragazzino detenuto, italiano oppure no, si è tolto la vita a pochi mesi dalla libertà.

Non si tiene mai in conto il perché e in che modo quel ragazzino, o quel tale amministratore o una ragazza con un bambino piccolo sono finiti in un carcere. Siamo tutti pronti a piangere i morti, ma in pochi ricordano come si è prodotta la malattia. Arrestare di meno, perché no? Ma la custodia cautelare pare intoccabile. Ancora in questi giorni il Landini del sindacato delle toghe, Giuseppe Santalucia, inveiva nei confronti del pacchetto giustizia del ministro Nordio. Mentre sulle carceri, su cui è più facile fare pietismo, oppure cogliere l’occasione, non senza motivo, per criticare le tendenze securitarie del centrodestra, siamo tutti riformisti, almeno a parole. Ma essere riformatori è altro. Lo dimostra l’impegno di Rita Bernardini, presidente di Nessuno tocchi Caino, che si è pure spesa in un rischioso sciopero della fame e della sete, e del deputato Roberto Giachetti, che ha presentato una proposta innovativa, sia sul piano ordinario che su quello eccezionale, relativa ai tempi della liberazione anticipata. Da 45 a 60 giorni ogni sei mesi per la liberazione ordinaria e 75 per quella speciale.

Si, una vera “svuotacarceri” nel senso più nobile del termine. Perché darebbe civiltà e umanizzazione vera, se in quei 47.000 posti realmente disponibili delle prigioni non ce ne fosse neppure uno in più. E non i 61.000 di oggi. Quanti morti, non solo suicidi ma anche di malattia o astinenza dobbiamo ancora aspettare? L’occasione per votare questa proposta di legge, su cui all’interno della maggioranza di governo si è già mostrata favorevole Forza Italia e nel governo il viceministro Francesco Paolo Sisto, sarà il prossimo 17 luglio. Potrebbe anche essere il momento, visto che nel frattempo si è avviata la discussione sulla riforma della giustizia del ministro Nordio, per ricordare che nelle carceri non ci sono solo i “cattivi”, i Caino già processati e condannati, ma anche tanti, almeno il venti per cento della popolazione detenuta totale, in attesa di giudizio. E che metà di loro verrà in seguito assolta. Ben venga intanto il decreto carcere. Nella speranza che le innovazioni importanti contenute possano avere un’applicazione rapida. La prima, l’istituzione di un albo di comunità che potranno accogliere detenuti con particolari tipologie di reati, legati a stati psicofisici come quelli di cittadini tossicodipendenti o malati psichici, è di grande rilevanza. Anche se purtroppo siamo solo all’istituzione dell’albo, e sappiamo quanto urgente sia sottrarre all’indifferenza del carcere questo tipo di ragazzi, spesso giovani adulti, quindi appena maggiorenni e a rischio.

Utilissimo sarà ripristinare, come era già accaduto ai tempi dell’epidemia da covid quando erano stati sospesi i colloqui con i parenti, l’aumento del numero di telefonate tra il detenuto e la famiglia. Provvedimento legato alla nuova assunzione di dirigenti e agenti di polizia penitenziaria. E si, lo hanno detto subito i rappresentanti di questi lavoratori, perché è loro compito organizzare e attivare le telefonate. E se non c’è sufficiente personale, si rischia che in certi giorni le telefonate saltino con i conseguenti nervosismi, depressioni e conflitti. Ultimo punto, non secondario, la semplificazione e velocizzazione delle procedure necessarie per l’accesso alle pratiche per la liberazione anticipata. Con la nuova norma sarà il pubblico ministero, già nell’ordine di esecuzione della pena, a stringere una sorta di “patto” con il detenuto prevedendo due diversi percorsi della sua detenzione, una per i “buoni”, quelli che si comporteranno in modo corretto, e una per i “cattivi”. È una scommessa di qualità. Ma intanto il 17 luglio, puntando anche sulla quantità, si potrebbero determinare le condizioni per una riforma vera, concreta, con la scarcerazione immediata di qualche centinaio di persone. Lo vorrà fare il Parlamento?

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.