Il divario tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’amministrazione statunitense si fa sempre più ampio.

L’ultimo rapporto dell’intelligence Usa indica che la leadership di Bibi è a rischio, così come la sua maggioranza. Un segnale che arriva dopo una lunga serie di avvertimenti da parte di Washington, certificata anche dalle piccate reazioni dell’esecutivo dello Stato ebraico alle mosse di Joe Biden.

Ieri, rivolgendosi all’American Israel Public Affairs Committee, Netanyahu ha usato parole nette. “Non si può dire di sostenere il diritto di Israele a difendersi e poi opporsi a Israele quando esercita tale diritto”, ha detto in riferimento agli Stati Uniti e agli alleati occidentali. “Non si può dire di sostenere l’obiettivo di Israele di distruggere Hamas e poi opporsi a Israele quando intra- prende le azioni necessarie per raggiungere tale obiettivo”, ha proseguito il premier, né “si può dire di opporsi alla strategia di Hamas di usare i civili come scudi umani e poi incolpare Israele per le vittime civili che sono il risultato di questa strategia”.

Frasi che arrivano mentre fon- ti dell’amministrazione Biden hanno svelato che la Casa Bianca, oltre ad avere avviato l’operazione umanitaria per la Striscia, starebbe pensando a un modo per limitare le armi a Israele in caso di attacco a Rafah, città dove sono fuggiti più di un milione e mezzo di palestinesi. Netanyahu ha con- fermato anche nelle ultime ore che Israele “porterà a termine il lavoro a Rafah, consentendo alla popolazione civile di uscire dal pericolo”.
Ma la preoccupazione dei funzionari Usa resta, soprattutto con l’inizio del Ramadan e l’accensione di più focolai.

La limitazione dell’accesso a Gerusalemme per i palestinesi della Cisgiordania (solo uomini sopra i 55 anni di età, donne sopra i 50 e bambini fino ai 10 anni) può essere un primo fattore, segnalato anche dalla Giordania. E dopo i missili di Hezbollah, il ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir ha invocato la guerra contro la milizia libanese.