Netanyahu attacca l’Onu a casa sua e bombarda Beirut, le due mappe di Bibi e l’avviso all’Iran: “Possiamo arrivare ovunque”

Israel Prime Minister Benjamin Netanyahu addresses the 79th session of the United Nations General Assembly, Friday, Sept. 27, 2024. (AP Photo/Richard Drew) Associated Press / LaPresse Only italy and Spain

Bombe su Beirut e accuse di fuoco alle Nazioni Unite. La giornata di Benjamin Netanyahu è stata una delle più complesse. Un attacco sul piano militare e diplomatico che ha fatto capire a tutto il mondo che Israele non ha alcuna intenzione di cedere. Né sul fronte di Gaza, né su quello del Libano (e quindi sia contro Hezbollah che contro l’Iran).

Per lo Stato ebraico è il momento di investire nell’indebolimento dell’Iran e del suo cosiddetto Asse della Resistenza. La galassia di milizie eterodiretta da Teheran. La guerra a Gaza, in questa fase, sembra avere raggiunto un primo obiettivo, e cioè avere di fatto smantellato l’infrastruttura militare di Hamas. Ma adesso, l’obiettivo del governo israeliano è anche quello di spezzare definitivamente i legami tra Iran e Libano, e quindi colpire il suo principale “proxy”: Hezbollah. Le Israel defense forces da giorni bombardano il Paese dei cedri per distruggere i depositi di armi, di carburante possibili postazioni di lancio dei miliziani di Hassan Nasrallah.

Bombe sul Libano, Israele a caccia di Nasrallah

Venerdì 27 settembre in tutto il Libano c’è stata una nuova ondata di attacchi aerei che ha coinvolto non solo il sud del Paese e la Valle della Beqaa, ma anche Beirut. E il raid nella capitale libanese è stato ancora una volta quello più incisivo. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver compiuto un “attacco di precisione” al quartier generale di Hezbollah. E questo raid è avvenuto subito dopo che Netanyahu ha parlato all’Onu riguardo la necessità di colpire il Partito di Dio e di non fermarsi. Dal santuario della milizia a Beirut si è alzata un’enorme colonna di fumo. E secondo i testimoni, l’esplosione è stata talmente forte che i vetri delle finestre hanno tremato fino a 30 chilometri dal luogo del bombardamento. Per i media israeliani e locali, l’obiettivo era uno solo, Hassan Nasrallah, il segretario generale della milizia libanese. E per raggiungere lo scopo, i missili israeliani hanno distrutto quattro edifici: palazzi residenziali che secondo l’Idf erano utilizzati come un enorme scudo umano per proteggere il sancta sanctorum di Hezbollah.
Per Israele e il Partito di Dio si è trattato di un raid importante, forse il più importante di questa escalation di settembre. Netanyahu, dopo essere stato raggiunto dal maggiore generale Roman Gofman che gli ha sussurrato qualcosa all’orecchio, ha lasciato subito il briefing con i giornalisti. E l’impressione che è il primo ministro israeliano abbia raggiunto i suoi più stretti collaboratori per essere aggiornato su quanto accadeva in quei momenti a Beirut.

Netanyahu attacca l’Onu a casa sua: “Palude antisemita”

Poco prima, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Bibi aveva concluso uno dei suoi più feroci discorsi nei riguardi dell’Iran, delle milizie legate alla Repubblica islamica e del modo in cui si comportava la comunità internazionale, e in particolare l’Onu.Palude antisemita”, “casa delle tenebre”, “sprezzante farsa”. Il discorso di Netanyahu all’Assemblea Generale si è rivelato un “j’accuse” durissimo nei confronti del Palazzo di Vetro. Una lunga serie di attacchi e di critiche, rivolte soprattutto a quello che Netanyahu considera il doppio standard dimostrato dall’Onu rispetto alla difesa di Israele e degli israeliani e quella dei palestinesi. E se qualche osservatore pensava che il blitz di Bibi a New York sarebbe servito a trovare un accordo per una de-escalation in Medio Oriente, specialmente sul fronte libanese, ha dovuto fare i conti con una realtà completamente diversa. Netanyahu non ha manifestato alcuna intenzione di fermarsi, né nei riguardi di Hamas nella Striscia di Gaza né con Hezbollah in Libano. E lo ha fatto capire chiaramente a tutta la comunità internazionale proprio ieri, quando la diplomazia sperava che l’attivazione degli Stati Uniti e dei maggiori partner internazionali potesse ottenere un principio di accordo, mentre invece Netanyahu è apparso molto chiaro nel perseguire non solo i suoi obiettivi bellici ma anche la sua narrativa politica.

Netanyahu all’Iran: “Non ci sono posti dove non possiamo arrivare”

“Sono venuto qui per dire basta, non ci fermeremo fino a quando i nostri cittadini non potranno tornare in sicurezza alle loro case. Noi non accetteremo un esercito terrorista che incombe sul nostro confine settentrionale, in grado di compiere un altro massacro come il sette ottobre” ha dichiarato il premier israeliano. E nei riguardi dell’Iran, considerato il vero grande rivale di Israele in Medio Oriente e protagonista non dichiarato anche dei conflitti a Gaza e nel fronte nord tra Siria e Libano, Netanyahu ha inviato un segnale netto: “Ho un messaggio per l’Iran: se voi ci attaccate noi vi colpiremo. Non ci sono posti in Iran che il lungo braccio di Israele non possa raggiungere, e questo è vero per tutto il Medio Oriente”.

Le due mappe di Netanyahu: maledizione e benedizione

Tutto questo mostrando due mappe. Una con scritto “la maledizione” e che dipingeva in nero Iran, Iraq, Siria e Libano, e la parte dello Yemen in mano gli Houthi. L’altra con scritto “la benedizione” con una freccia che univa India ed Europa e colorati in verde gli Emirati, l’Arabia Saudita, la Giordania, l’Egitto e il Sudan. Mappe estremamente sintetiche, quasi elementari, che di certo non possono esprimere la complessità della realtà mediorientale. Eppure, nella loro semplicità, hanno dato ancora una volta un’indicazione precisa e senza possibilità di interpretazioni su cosa implichi questa crisi che sconvolge la regione ormai da un anno. Non è solo una questione di Hamas ed Hezbollah. Non è solo la pur tragica cattura degli ostaggi israeliani nell’orrore del 7 ottobre o la sicurezza di Israele rispetto ai razzi di Hezbollah e delle fazioni palestinesi.

In gioco, in questa crisi, c’è l’intera impalcatura della politica mediorientale. E Israele sembra avere accelerato in un cambiamento di rotta richiesto da anni dai governi dello Stato ebraico. L’attacco a Beirut non ha lasciato spazio ad alcuna interpretazione. Netanyahu vuole chiudere la partita il prima possibile. Il fumo che si è innalzato dal sobborgo di Dahiyeh, con edifici distrutti, scene di panico, e che ha puntato dritto su Nasrallah è un messaggio chiarissimo.