L'udienza a sei settimane dall'ennesima elezione
Netanyahu in tribunale per il processo per corruzione, fuori l’aula protesta dei manifestanti contro ‘Bibi’

Benjamin Netanyahu torna in un’aula di tribunale. A sei settimane dalle ennesime elezioni, previste il 23 marzo, il premier israeliano è intervenuto, assistito dai suoi legali, nel tribunale di Gerusalemme per respingere le accuse di corruzione nei suoi confronti dopo che l’ultima udienza era slittata a causa delle restrizioni per il coronavirus.
Netanyahu, che stando ai sondaggi è favorito per ritornare alla guida politica dello Stato ebraico alle imminenti consultazioni, secondo l’accusa avrebbe accettato lussuosi regali da amici, e offerto favori a editori in cambio di una copertura mediatica favorevole.
L’udienza è durata circa un’ora, con Netanyahu che dopo 20 minuti ha ‘levato le tende’ lasciando l’aula senza spiegazioni: il premier ha presentato assieme agli avvocati difensori una risposta scritta alle accuse. Alla base della strategia difensiva c’è la contestazione delle procedure di indagine, che sarebbero state effettuate senza l’autorizzazione preventiva del Procuratore di stato Avichai Mandelblit e che quindi renderebbero improprio l’intero impianto accusatorio. L’accusa ha respinto tali argomenti, dicendo che il procuratore generale aveva approvato le indagini in dozzine di riunioni. Il collegio dei giudici, che è guidato da un magistrato donna, Rivka Friedman-Feldman, dovrà decidere ora se le prossime udienze si terranno prima o dopo le elezioni del 23 marzo, ma anche se il premier uscente dovrà parteciparvi di persona. Gli avvocati di Netanyahu hanno infatti chiesto un rinvio di tre-quattro mesi della prossima fase del processo per prepararsi al confronto con i primi testimoni.
Mentre nell’aula andava avanti lo scontro giudiziario, fuori dal tribunale si infuocava quello politico: all’esterno infatti si sono radunati alcuni manifestanti, i cui cori si sono sentiti fino all’interno dell’aula in cui si teneva l’udienza. La legge israeliana impone ai ministri di gabinetto di dimettersi quando accusati di reati, ma non affronta specificamente il caso di un primo ministro sotto accusa. Il premier si è rifiutato di dimettersi respingendo le accuse e parlando di “caccia alle streghe”, un leitmotiv già caro all’ex alleato Donald Trump.
Da tempo Netanyahu e il suo governo sono sotto accusa sia per le vicende giudiziarie che coinvolgono il premier che per la risposta alla crisi generata dal Coronavirus, tra continui lockdown e disoccupazione alle stelle: Netanyahu si ‘gioca’ le possibilità di essere rieletto in base alla riuscita del piano vaccinale messo in piedi dal suo esecutivo, che sta procedendo in maniera molto più spedita rispetto alle altre nazioni del “mondo occidentale”. Al momento la campagna vaccinale ha portato a immunizzare più di un terzo della popolazione di Israele, che conta 9,3 milioni di abitanti.
Netanyahu è primo ministro israeliano dal 2009 ed ha mantenuto la ‘poltrona’ anche nelle ultime tre elezioni, nonostante la necessità di creare governicchi di coalizione basati sul voto di micro-partiti dalle posizioni estremiste. L’ultimo governo di questo tipo si è andato a schiantare lo scorso dicembre.
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