Benjamin Netanyahu lo sa da quando ha dato il via libera alle due operazioni che hanno ucciso prima il comandante Fouad Shukr a Beirut e poi Ismail Haniyeh a Teheran. Hezbollah, Hamas ma soprattutto l’Iran, non rimarranno a guardare. Una vendetta da parte delle forze colpite al loro cuore è data per certa. E i funzionari iraniani e filoiraniani lo hanno ribadito anche ieri, quando a Teheran si celebrava la cerimonia funebre per il leader di Hamas (condotta dalla Guida suprema, Ali Khamenei) e a Beirut si piangeva il comandante di Hezbollah ucciso nel raid alla periferia meridionale della capitale libanese. “Il nemico non sa da dove arriverà la nostra risposta, se dal nord o dal sud della Palestina, e se sarà separata o simultanea” ha detto il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un discorso per la cerimonia funebre di Shukr.

L’asse della resistenza

“Il nemico e coloro che gli stanno dietro dovranno attendere la nostra inevitabile prossima risposta. Tra noi e loro ci saranno giorni, notti e campi di battaglia”, in quella che per Nasrallah è una guerra “i cui campi di battaglia includono Gaza, il Libano meridionale, lo Yemen, l’Iraq e l’Iran”. Una minaccia chiara, che arriva mentre a Teheran si sono riuniti i vertici della Repubblica islamica con i rappresentanti di tutte le milizie che compongono il cosiddetto “Asse della resistenza”. L’obiettivo, secondo personalità vicine alla riunione, è quello di arrivare a una risposta coordinata. Ma come hanno spiegato alcune fonti libanesi, al momento gli scenari presi in considerazione sono due, e cioè “una risposta simultanea da parte dell’Iran e dei suoi alleati o una risposta scaglionata da ciascuna parte”.

Il ruolo di Hezbollah

Gli analisti concordano sul fatto che Teheran, dopo lo schiaffo subito con l’omicidio del capo di Hamas, voglia attuare una sua rappresaglia diretta, non nascondendosi dietro le milizie. Gli ayatollah potrebbero di certo servirsi di tutta la costellazione di forze che gestisce in Medio Oriente, da Hamas al Jihad islamico palestinese, dagli Houthi dello Yemen alle milizie popolari in Iraq fino a Hezbollah in Libano. Ma il raid contro Haniyeh richiede, a detta delle fonti, una rappresaglia diretta. Anche per spegnere le prime avvisaglie di critiche all’interno degli apparati iraniani, così come le accuse di debolezza, di falle o addirittura di tradimenti tra i membri della sicurezza. E quindi è probabile che gli iraniani vogliano agire pensando a un attacco diretto e allo stesso tempo coordinato con i propri proxy. Tra questi, un ruolo fondamentale non può che averlo Hezbollah, soprattutto perché al pari dell’Iran, anche il Partito di Dio ha subito un colpo molto duro all’interno del proprio territorio, addirittura in quel suo santuario che è la periferia sud di Beirut.

Lo scenario più estremo

L’ultima volta che Israele aveva attaccato la capitale libanese per un omicidio mirato di alto profilo (quello del comandante di Hamas, Saleh el-Arouri), la milizia guidata da Nasrallah reagì colpendo la base militare israeliana sul Monte Meron. Un avamposto fondamentale per le Israel defense forces, da dove si riteneva fosse partito proprio l’attacco diretto a uccidere el-Arouri. E per questo motivo, secondo alcuni osservatori, è possibile che Hezbollah agisca allo stesso modo, ma questa volta puntando a un’altra base. Il quotidiano libanese L’Orient Le Jour segnalava l’ipotesi che i combattenti filoiraniani potessero puntare su un’altra base israeliana, magari di più alto prestigio come quella di Ramat David, nel nord dello Stato ebraico. Ma c’è anche chi non sottovaluta uno scenario più estremo, e cioè che Hezbollah, per inviare un messaggio ancora più duro e simbolico, possa dirigere i suoi missili verso Tel Aviv.

Magari con un attacco scenografico come quello effettuato dall’Iran ad aprile (raid che fu neutralizzato completamente dalle forze israeliane e quelle alleate), ma utile ad alzare il livello d’allerta in tutto il Paese. In ogni caso, quello che sottolineano gli analisti è che sia Hezbollah che l’Iran in questo momento si trovano in una posizione molto difficile. Devono dimostrare al mondo (e alle proprie opinioni pubbliche) che non tollerano attacchi diretti al loro cuore pulsante. Ma contemporaneamente, devono evitare raid che implichino un’escalation dai contorni oscuri e che probabilmente sarebbe ingestibile da un Iran ferito e debole. Tanto più con un nuovo presidente, Masoud Pezeshkian, che ha vinto promettendo un graduale disgelo con l’Occidente soprattutto per l’accordo sul programma nucleare.