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Nichilismo digitale: Homo Deus integrazione tra naturale e artificiale
Il sodalizio con la tecnica ci accompagna da sempre. La tecnica è servita all’Homo sapiens a manipolare l’ambiente per adattarsi e prolungare la sua esistenza. L’integrazione con l’intelligenza artificiale potrebbe ampliare e incrementare le nostre capacità cognitive, riducendo le nostre scelte a un agire pienamente razionale. Così facendo però ci troveremmo all’apice del nichilismo
Possiamo proporre qualche spunto di riflessione sul digitale andando a rileggere, attraverso una prospettiva filosofica, il libro di Yuval Noah Harari, Homo Deus. Si tratta di un best seller mondiale che ci restituisce, a partire dal concetto di “informazione”, uno spaccato dell’esistenza dell’uomo, dalle origini sino all’epoca di internet. Giocando di fantasia, possiamo immaginare il nostro prossimo futuro, o almeno uno dei tanti possibili scenari ricavabili dall’interpretazione dell’attuale sistema digitale. Utilizzando la tecnica ci siamo adattati lungo il corso dei millenni all’ambiente, manipolandolo; in questi ultimi decenni, invece, stiamo cominciando per la prima volta a integrarci non solo a un ambiente naturale, ma anche ad ambienti digitali: un’integrazione necessaria e finalizzata a scambiare maggiori informazioni con il sistema stesso.
Il nostro sodalizio con la tecnica non è affatto qualcosa di contingente, ma ci accompagna da sempre: l’Homo sapiens è un animale tecnico. La tecnica ci è servita a manipolare l’ambiente per meglio adattarci, al fine di prolungare la nostra esistenza. Ogni forza in gioco all’interno del nostro sistema culturale ha ritenuto di potersi servire della tecnica per incrementare la sua potenza, presupponendo di poterla trattare come un semplice mezzo da utilizzare in vista del raggiungimento di un certo fine. La filosofia del Novecento ci ha indicato l’illusorietà di questa ipotesi e il capovolgimento della funzione della tecnica da mezzo a fine: se ciascun vettore in gioco alimenta, indirettamente, l’apparato tecnico-scientifico, allora la tecnica è destinata a prevalere su tutte le altre forze in campo dato che, diversamente da queste, essa non ha alcun fine eterogeneo rispetto al proprio illimitato potenziamento.
La nostra soggettività si configura, oggi, all’interno del paradigma del neoliberismo come parte dell’apparato tecnico. Il digitale va inserito all’interno di questo quadro teorico: sono le nuove tecnologie a rendere possibili i nuovi assetti dell’economia e della finanza globali. Il digitale si sviluppa su base sistemica: ogni cosa deve trovare il suo gemello digitale (o, in parallelo, pensiamo allo IoT, all’internet di tutte le cose). Anche l’uomo può creare il suo gemello digitale, ed è ciò che sta accadendo attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Semplificando un po’, possiamo dire che alla base del neoliberismo vi è la pretesa di costruire un sistema economico dove ogni azione possa essere, in linea di principio, assorbita sulla base dell’idea che sia possibile quantificare l’agire umano nella sua totalità.
Tale misurabilità implica anche il fatto di poter computare le azioni rendendole statisticamente prevedibili: ciò è possibile solo se mettiamo a sistema un’altissima quantità di informazioni. Sono infatti i grandi numeri a rendere concreto questo scenario tecno-globale, dove ogni pratica individuale del nostro agire, sociale e privata che sia, deve confluire all’interno dell’apparato digitale in tutte le sue articolazioni. Ci serviamo della tecnica per incrementare la nostra potenza, la nostra volontà di determinazione. Immaginiamo, per ipotesi, un golem digitale che ci accompagni nello sviluppo e nell’educazione fin dalla nascita: un’entità, una forma di intelligenza artificiale in grado di incarnare tutto il sapere contemporaneo fin dai primi anni della nostra esistenza (che sintetizzi, quindi, l’intero sapere pedagogico, linguistico, matematico, scientifico).
Possiamo apprendere ogni cosa dialogando con il nostro golem digitale, ma se giungessimo a questo punto che ne sarebbe della scuola? Ne avremmo ancora bisogno? Come cambierebbe la nostra vita? L’immagine della calcolatrice non ci aiuta, poiché questa entità è enormemente più potente e il nostro assistente digitale (il nostro angelo custode) ci potrebbe aiutare a fare ogni cosa, molto più che delle semplici operazioni matematiche. Tuttavia, il nostro alter ego digitale sarebbe qualcosa che, comunque, esisterebbe fuori di noi, qualcosa con cui ci interfacciamo, dialoghiamo, etc. Proviamo invece a immaginarcelo come un ente integrato alla nostra corporeità, una sorta di estensione virtuale della nostra coscienza, un’emanazione diretta del nostro pensiero.
Naturalmente, stiamo giocando di fantasia ciononostante possiamo vagliare questo ipotetico scenario. Ogni nostro agire diventerebbe il frutto di un “perfetto” calcolo. Il nostro corpo potrebbe contenere nanotecnologie che lo monitorerebbero costantemente. Potremmo così conoscere tutto di noi stessi, del nostro stato di salute, di cosa e quanto dobbiamo mangiare, ma anche di cosa ci conviene dire e fare, come interagire con gli altri o col nostro partner in modo produttivo. Poter calcolare il nostro agire implica la diminuzione dello spettro di possibilità: quando impariamo, per esempio, la tecnica dietro al gioco degli scacchi riduciamo il numero di azioni che riteniamo “sensate” e scartiamo la maggior parte delle mosse prive di efficacia. Maggiore capacità di calcolo implica un minor numero di azioni sensate.
La contingenza dell’agire tecnico-pratico converge verso la necessità: queste e non altre costituiscono il ventaglio delle mosse possibili. Coloro che sanno giocare a carte sanno cosa scegliere, come e cosa devono giocare: la partita si gioca solo alla fine, dove effettivamente operare una scelta significa vincere o perdere. In tale prospettiva, questa nuova soggettività integrata all’intelligenza artificiale potrebbe ampliare e incrementare le nostre capacità cognitive, riducendo le nostre scelte a un agire pienamente razionale. Ci troveremmo così all’apice del nichilismo: ogni agire sarebbe destituito di senso per diventare mero calcolo. All’interno dell’apparato tecnologico, per essere funzionali, le nostre scelte dovranno essere sempre più efficienti (perfettamente calcolate) e meno efficaci (ossia orientate e dotate di valore): tale logica risulta assolutamente compatibile e confacente al paradigma neoliberista.
La tecnica non produce senso, non produce valori: noi abbiamo bisogno di produrre senso per vivere, la macchina no. Tale sistema è come se ci stesse dicendo: tu uomo se vuoi diventare eterno, potente come un dio, capace di un’infinita capacità di calcolo, devi mutare, devi diventare qualcosa di diverso: un’altra forma di vita. Homo sapiens deve far posto a una nuova entità ibrida, analogica-digitale, un corpo espanso capace di integrarsi coi nuovi ambienti virtuali. Ma un’entità così fatta vorrà ancora vivere? Un ente perfettamente razionale perché dovrebbe volerlo fare? Perché dovrebbe voler esistere?
Unicamente perché ogni ente tenderebbe per natura a conservare la propria forma di esistenza? Ma questa nuova forma di soggettività digitale dovrà ancora, per vivere, nutrirsi di un ordine di senso? Vivrà di quel conatus, di quello sforzo, di quella “volontà di vivere”, che lo direziona nel mondo, che gli consente di incontrare un senso illusorio e al contempo necessario? La vita della soggettività non è trasparente a sé stessa, ma presuppone uno strato di opacità. Quindi, o questa nuova forma di vita ritornerà a essere un’entità che agisce sulla base della propria corporeità, cioè della parte in ombra rispetto alla coscienza, oppure, per cercare di essere Dio, troverà solo l’insensatezza della propria esistenza: il motivo? Perché non vi è alcun Dio, ma solo quella volontà di potenza che sospinge Homo a diventare Deus.
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