«Mi pare si possa dire che oggi San Vittore o il carcere di Opera a Milano sono più sicuri di Piazza Duomo». Eh no, Signor Dottore, glielo garantisce una persona che conosce bene tutti e tre i luoghi, avendoli abbondantemente frequentati e in due su tre anche soggiornato. Dopo aver girovagato in lungo e in largo in tutte le trasmissioni di La7, non poteva che approdare, ciliegina sulla torta, a una bella intervista sul Fatto Quotidiano, il dottor Gratteri Nicola da Catanzaro. E ci voleva proprio, questo chiarimento di idee. Solo che il quotidiano di Travaglio, se mi è consentito dirlo, ha sbagliato il titolo. Che avrebbe dovuto essere: “Ah, perché non son’io il ministro di Giustizia?”. Un grande rimpianto, perché il procuratore capo di Catanzaro è stato lì lì per diventarlo, è proprio arrivato fino all’uscio, ai tempi del governo Renzi. Rimanendo però sull’uscio.

Invece. Invece, poiché non ha incarichi di governo, gli tocca farsi uno e trino e dividersi in tanti ruoli per spiegare il perché necessita di così tanti passaggi tv (scusatemi, Mattarella e Salvi) e persino della fatica di conquistare l’intervista su un quotidiano che abitualmente le canta chiare ai magistrati. E dove la prima domanda è di quelle che mettono veramente in imbarazzo una persona così schiva. Nuove minacce? Non vorrebbe rispondere, ma poiché si sa che ogni magistrato è anche un po’ sociologo, è costretto a una nuova analisi, che in realtà abbiamo già ascoltato a Otto e mezzo ma pazienza, sui veri aspiranti ad attentare alla sua vita. Non sono più gli uomini della ‘ndrangheta con il berretto e la lupara (meno male, lo diciamo con sincerità), ma quelli che una volta si chiamavano “colletti bianchi” e che “ora sono organici al sistema”. Amici del governo? Il concetto rimane nell’aria, perché incalza la seconda domanda. Così che il dottor Gratteri non fa neppure in tempo a spiegare che, proprio per la propria sicurezza, è stato costretto a farsi un po’ proprietario terriero, acquistando per pochi spiccioli un terreno di ottomila metri quadri adiacente al suo giardino. Per difendersi dai “colletti bianchi”.

Pazienza, perché si parla ora di carceri e l’argomento è importante. E qui il nostro si fa immediatamente ministro e anche un po’ architetto e urbanista. Il problema del sovraffollamento non si affronta con una giustizia migliore (questo ci aspetteremmo di sentir dire da un magistrato), ma costruendo nuovi istituti penitenziari. Come? «Basta fare un unico progetto, replicarlo in quattro luoghi del Paese e in sei mesi sarebbe possibile porre fine all’affollamento carcerario». Caspita. Neanche Renzo Piano e gli ingegneri che lavorano al ponte di Genova. E il codice degli appalti? Passiamo ad altra domanda.

Ma il coronavirus nelle carceri? Tutte le denunce sui problemi di sicurezza che riguardano detenuti e agenti penitenziari, oltre alle 30.000 persone che ogni giorno entrano ed escono dalle carceri che l’ex ministro Orlando definisce “bombe epidemiologiche”? E i tanti ormai positivi e un detenuto morto e la tutela della salute quasi impossibile così come il distanziamento sociale in spazi così ristretti come le celle? Naturalmente ci sarebbe piaciuto che la domanda fosse stata posta così, invece che in tre righe con dieci di risposta con due numeretti (sbagliati) buttati là, silenzio sul primo detenuto morto per il virus, e la battutaccia su piazza Duomo che sarebbe meno sicura di Opera e san Vittore. Se lo lasci dire, dottor Gratteri, come sanitario lei sarebbe un po’ deboluccio. Difficilmente la gente sui balconi la chiamerebbe “eroe”.

Ma non è il suo mestiere, lo sappiamo bene. Lei è un investigatore, e di quelli abili. Infatti ha ben capito che le manifestazioni di detenuti della prima settimana di marzo con i 13 morti (di cui lei per pudore non parla) erano organizzate e coordinate tra diversi istituti, tanto che sono iniziate alle 10 del mattino a Modena come a Foggia. Non importa capire il perché quelle proteste sono nate proprio in quei giorni, quando a causa del pericolo di contagio erano stati sospesi i colloqui con i parenti. Basterebbe schermare le carceri in modo che nessuno possa più usare i telefonini. Questa è per lei la soluzione. Alla faccia dei diritti dei tanti che nel carcere lavorano. Ogni tassello al proprio posto: sociologo, proprietario terriero, urbanista, sanitario, inquirente. Poteva mancare il ruolo politico? Ficcante la domanda: “Qualcuno chiede l’amnistia”. Chissà chi. Sicura la risposta: «Le parole amnistia, indulto, sanatoria, condono, dovrebbero essere bandite dal lessico di un Paese civile». Linguista.

Fin qui abbiamo un po’ giocherellato, ci perdoni Sciur Dutùr, come si dice a Milano, in piazza Duomo come a San Vittore e Opera, magari anche a Bollate o a Quarto Oggiaro. Ma quando lei, che è un magistrato requirente, annuncia di aver «proposto che i Comuni che riceveranno dal governo fondi da distribuire ai cittadini diano gli elenchi dei beneficiari a carabinieri, polizia e guardia di finanza per impedire che i sindaci faccendieri o mafiosi li distribuiscano ai loro amici», allora non si scherza più. E vorremmo sapere in quale veste e a chi lei ha fatto questa proposta. Perché se lei si è vestito da uomo politico, capisce bene che, anche se l’abito non le è del tutto sconosciuto, indossarlo in via ufficiale è alquanto inopportuno.

Se invece lo propone come procuratore capo di Catanzaro, beh, non può bastare che si inarchi un sopracciglio. Lei conosce sindaci “faccendieri” o peggio ancora “mafiosi” e non li ha ancora denunciati? Non ha proceduto? Ha omesso? E inoltre. Lei ritiene normale sguinzagliare le forze dell’ordine sulle tracce di cittadini che hanno solo il torto di essere poveri? Naturalmente queste domande non gliele ha fatte Gianni Barbacetto, autore di questa importante intervista sul Fatto Quotidiano.

 

FIRMA L’APPELLO: http://bit.ly/DRAMMA_CARCERI

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.