Ed Erc, sulla soglia dell’incontro con Sanchez per discutere della maggioranza di governo, fa sapere che aspetta di ascoltare cosa dirà l’avvocatura di stato sul (loro presidente di partito) Junqueras prima di decidere se e come dare una mano a Sanchez. La procura generale ha chiesto subito al Supremo di stabilire «la perdita della condizione di eurodeputato» di Junqueras, Vuole cioè applicare la pena dell’inabilitazione ai pubblici uffici, sospesa finora in attesa della sentenza del Tribunale europeo. Che ha chiaramente spiegato di considerare illegittima la carcerazione dell’eurodeputato, ha spiegato perché andava considerato tale già dal 26 maggio e ha sottolineato che, se proprio la Spagna si temeva una sua fuga nella fase finale del processo, avrebbe dovuto sollecitare la sospensione dell’immunità. Non aveva altre vie.

Apriti cielo. A Madrid si sono innervositi in molti per questa puntualizzazione. Il procuratore generale pare sull’orlo di una crisi di nervi e Santiago Abascal, il capo della destra radicale Vox diventata terzo partito negli ultimi sei mesi, convoca una manifestazione nazionale contro «un attacco alla sovranità della Spagna». Tanto nervosismo è comprensibile. La vittoria giudiziaria degli avvocati di Junqueras complica molto il quadro politico per il fronte, molto affollato, dei sostenitori della necessità di affrontare dentro le aule giudiziarie la questione del procés e di fare i conti con il comportamento dei leader separatisti mettendoli alla sbarra anche se – e soprattutto perché (dicono proprio così «soprattutto perché») sono leader politici. La stessa situazione può ripetersi con gli altri due leader degli indipendentisti catalani fuggiti in Belgio prima dell’arresto. Carles Puidgemont, scappato nottetempo in un rocambolesco viaggio in auto per l’Europa alla vigilia dell’arresto (con molto meno stile di Junqueras, gli hanno rimproverato dalla base a casa sua a Barcellona) e Toni Comin.

Tutti e tre sono stati eletti alle elezioni europee, ma i seggi sono rimasti vacanti perché non sono stati accreditati. Essendo ormai stato chiarito dal Tribunale europeo che quell’atto è una sola formalità perché un parlamentare è tale dal momento della proclamazione dei risultati del voto, si trovi dove si trovi (anche in galera) è chiaro come i leader indipendentisti che il fronte della fermezza nazionalista si ritroverà a breve tra i piedi saranno probabilmente tre, non uno. La massa d’odio che la questione catalana muove tra secessionisti e nazionalisti, i primi chiusi a chiave in un’irragionevolezza nevrotica, i secondi intrisi di tic franchisti spaventosi, non è proprio quel che servirebbe a Sanchez per portare i voti dei separatisti catalani al suo governo.