Nella rubrica Sì&No su Il Riformista di martedì 17 ottobre il quesito posto è: “È giusto ospitare in Tv chi vive di provocazioni?”. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, ma prima ancora con la diffusione della pandemia di Covid-19, e poi con l’attuale situazione incandescente tra Israele e Hamas, nei programmi e nei talk show televisivi si è dato ampio spazio a voci che si definiscono ‘fuori dal coro’ o ‘dissidenti’ rispetto al mainstream. A rispondere sono due studenti della scuola Meritare l’Europa. Massimiliano Marino propende per il Sì, definendolo un momento di confronto tra pensieri differenti. Antonio Bompani, invece, ritiene sia preferibile evitare e prediligere una corretta informazione.

Qui il commento di Antonio Bompani:

Caratteristica fondamentale di un buon giornalista è quella di provare a raccontare la realtà dei fatti, separandola dalle opinioni (che chiaramente, nel mondo giornalistico e non, dovrebbero comunque continuare ad avere piena legittimità). Quello che sembra il vero vizio del dibattito da talk show e televisivo in genere appare essere proprio il concentrarsi sulla diversità di opinione tout court, piuttosto che sulla verifica di accadimenti e dinamiche. Molto spesso, nella maggioranza dei talk italiani, sembra che si rincorrano soltanto punti di vista eterodossi e differenti, con poca rilevanza a quella che è la diversità di conoscenze e competenze degli interlocutori coinvolti. Così facendo, la sostanza dei dibattiti viene assunta dalle argomentazioni delle persone che sono lì a discutere, piuttosto che da quel che succede realmente e oggettivamente fuori dagli studi televisivi.

La distorsione e il cortocircuito di chi si nasconde dietro l’invocazione di libertà di pensiero ed espressione, quando si è di fronte ai rari casi di presunta “censura”, è che nei dibattiti televisivi l’unico elemento a non essere toccato è proprio l’opinione personale, a cui si cede il primato, scarseggiando conferme tramite dati e verifiche. Il modus operandi genera “verità” che non possono essere messe in dubbio: tu la pensi così, io al contrario, perciò siamo pari. Ma questa è proprio l’anticamera della verità: l’unico risultato è quello di polarizzare il dibattito, con posizionamenti che divengono puramente ideologici.

La problematica è esplosa con la pandemia, quando il quadro scientifico ha mostrato plasticamente la distanza, nell’autorevolezza, tra un esperto e un qualsiasi altro opinionista. La guerra in Ucraina ha reso questo meccanismo ancora più diffuso. Uno spazio così ampio per ospiti “controcorrente”, mossi frequentemente da semplice antioccidentalismo, è parso più una caccia all’audience per mezzo delle “ragioni dell’altro”, piuttosto che la volontà di descrizione e analisi della realtà.

Non si tratta dunque di censurare opinioni scomode, ma di evitare di farsi megafono di informazioni false, come ampiamente rivelatesi nel corso dei mesi successivi. Se i talk vogliono assumere il ruolo del campo da gioco del dibattito pubblico devono superare i loro vizi di spettacolarizzazione e banalizzazione. Si è infatti di fronte a una trasformazione dei format, che seguono sempre più la direzione del puro infotainment, nel quale conta maggiormente il ritmo, e quindi formule e slogan per spiegare concetti oggettivamente complicati: appena si prova un approfondimento, il conduttore passa oltre. Ciò porta inevitabilmente a un imbarbarimento del dibattito, anche nelle modalità, e cioè nelle forme della contrapposizione binaria sopra descritte. L’entrata nelle questioni più tecniche viene sacrificata sull’altare di una presunta “democratizzazione” e pubblicità del confronto.

La domanda da farsi è ora: qual è il beneficio che deriva per l’informazione, e per la stessa democrazia? Se le democrazie liberali si distinguono per la “sacralità” del diritto di parola, allo stesso modo la rilevanza del ruolo e del compito di un giornalista non può essere limitato a mettere in mano un microfono a chiunque voglia e possa esporsi pubblicamente. Per concludere, lo spazio che viene dedicato alla verifica dei fatti è molto poco, o comunque non abbastanza. Agli occhi di chi scrive, se la priorità dei talk continuerà ad essere la ricerca spasmodica del bastian contrario, e dunque di letture dei fatti completamente ribaltate, l’arricchimento per l’opinione pubblica non verrà a generarsi.

Antonio Bompani

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