Nel Sì&No del giorno del Riformista spazio al dibattito sul mercato tutelato: il governo dovrebbe prorogarlo? Marco Simiani, Capogruppo Pd in Commissione Ambiente Camera, espone le ragioni del sì, sostenendo che “milioni di italiani vanno protetti da una drammatica incertezza”. L’economista Riccardo Puglisi analizza i punti critici “dobbiamo spostarci senza timori verso il regime del mercato libero”.

Di seguito l’opinione di Riccardo Puglisi

È piacevole osservare come l’economia sia una scienza sociale che cerca di essere pragmatica. Rispetto alla forte tentazione di stampo ideologico, la quale consiste nel prospettare soluzioni ai diversi problemi economici che vanno sempre nella stessa direzione (“nazionalizziamo/regolamentiamo tutto!” oppure “lasciamo fare ai mercati!), il pragmatismo della buona teoria economica si estrinseca invece nella salomonica – e possibilmente deludente – risposta “dipende”. Detto in altri termini, in certe circostanze economiche, sociali e tecnologiche conviene andare nella direzione di un intervento pubblico più incisivo, sia sotto forma di proprietà pubblica delle imprese che di regolamentazione forte delle imprese private, mentre in altre circostanze conviene al contrario fidarsi del gioco libero della concorrenza tra imprese, al fine di ottenere prezzi più bassi a vantaggio dei consumatori. Ebbene, nel caso di servizi di rete essenziali come il gas e l’elettricità ritengo che le circostanze economiche e tecnologiche attuali siano adatte alla scelta di abbandonare il regime del mercato tutelato, dove il regolamentatore ARERA (gradevole e grecizzante acronimo dell’Autorità per la Regolazione di Energia Reti e Ambiente) specifica i prezzi e le condizioni contrattuali, così da spostarci senza timori eccessivi verso il regime del mercato libero, dove per l’appunto i consumatori residenziali “non vulnerabili” hanno la possibilità di scegliere il loro fornitore, in un ventaglio di concorrenti possibili.

Il punto cruciale è che ci siamo ormai allontanati dalla situazione economica e tecnologica in cui i servizi di rete rappresentavano la situazione proverbiale in cui un monopolista naturale gestisce tutte le fasi del processo produttivo e domina il mercato (i costi medi scendono al crescere della produzione, cosicché è efficiente avere per l’appunto un solo produttore) così da rendere necessaria la sua regolamentazione –tipicamente nella forma di fissare un prezzo massimo – oppure di nazionalizzare il monopolista stesso. La ragione era ovvia: un monopolista privato non regolamentato avrebbe sfruttato il suo potere per fissare un prezzo eccessivo, riducendo le quantità offerte. Ora è largamente possibile scindere la componente a monte della produzione e le componenti a valle della distribuzione e commercializzazione (dove la concorrenza è possibile) rispetto alla trasmissione su larga scala, dove ancora è presente un monopolio naturale. Ad esempio, nel caso dell’elettricità tale fase è gestita da Terna, e dunque tuttora regolamentata da ARERA. Dal punto di vista degli acquirenti finali, i quali ovviamente si preoccupano di ciò che succede a valle (distribuzione capillare e commercializzazione di gas ed elettricità) il mercato libero dovrebbe permettere di “votare con il portafogli” e scegliere l’operatore più adatto, senza farsi intimorire dal minor ruolo giocato dal regolamentatore pubblico.

Il pragmatismo della scienza economica consiste esattamente nel “distinguere frequentemente” accorgendosi del fatto che la parte della filiera produttiva dove c’è monopolio naturale resta regolamentata da ARERA, mentre altrove (produzione e distribuzione/commercializzazione) c’è spazio per la libera concorrenza che fa bene ai prezzi. Se proprio vogliamo preoccuparci di qualcosa, dobbiamo preoccuparci di possibili intese collusive tra i distributori a valle che per l’appunto limiterebbero la concorrenza al fine di alzare i prezzi. Ma non è necessario essere Milton Friedman per rammentare alle Elly Schlein e ai Peppe Provenzano di turno che di queste tematiche anti-concorrenziali si occupa per definizione quell’antica e nobile istituzione di origine USA, la quale in Italia ha la balda età di 33 anni ed è nota con il fiscaleggiante acronimo AGCM: l’Autorità Antitrust.