Caro direttore,

«Ma con l’Aventino non si incide in politica», ha detto il professore Sabino Cassese al Riformista in un’intervista che sosteneva l’apertura del giornale, «la strategia dell’astensione». Premesso che disertare le votazioni non può diventare un’abitudine e – anzi – alla lunga potrebbe configurare persino una forma di tradimento degli elettori che ti hanno votato per fare le cose e non per astenersi dal farle, andrebbe detto che c’è Aventino e Aventino.

La scelta politica e quella di tattica parlamentare

Il Partito democratico nel giro di pochi giorni ha praticato due «Aventini» di senso diverso, il che ha dato effettivamente l’impressione di una «strategia». Ma si tratta di due passaggi dissimili. La scelta del Pd di non partecipare al voto sulla nomina dei consiglieri d’Amministrazione della Rai è stata tutta politica, cioè di polemica autoesclusione da quell’organo di indirizzo e garanzia di Viale Mazzini per far vedere che «non partecipiamo alla spartizione». Una scelta, per chi scrive, totalmente sbagliata e politicamente priva di effetti utili per chi l’ha pensata. Altra cosa è l’uscita dall’Aula in occasione del voto del Parlamento sull’elezione di un giudice costituzionale. Questa è stata una scelta di pura tattica parlamentare, necessaria per evitare «aiutini» nel voto segreto a una maggioranza in grande affanno, che infatti si è dovuta fermare di fronte all’evidenza di non disporre dei numeri necessari.

La strategia dell’astensione

Dunque sulla Rai è stato un Aventino «politico» inutile, mentre sulla Consulta un Aventino «tattico» che ha funzionato. Semmai si può dire che obbligare i propri parlamentari a non votare segnala che la truppa è tutt’altro che compatta. Qui il discorso si amplia. E riguarda il problema di fondo di un’opposizione eterogenea fino al punto di non riuscire nemmeno a parlarsi tra le sue diverse componenti. Ma se stiamo al merito della «strategia dell’astensione» c’è anche da dire che questa condotta parlamentare ha moltissimi precedenti, pure nei tempi gloriosi nei quali l’opposizione era una cosa seria.