I luoghi condizionano le persone. Quanto vale per chi è in carcere? «Sono pianamente d’accordo con la riflessione posta a base della domanda. Nel carcere ci sono regole e condizioni che incidono profondamente sulla personalità del detenuto, chiamato a vivere in base a regole imposte dall’ambiente carcerario che, lungi dall’avere un effetto positivo, può creare disagio psicologico e angoscia», spiega il magistrato Nicola Graziano, giudice presso il Tribunale di Napoli e autore del libro Matricola zero zero uno, un viaggio nel mondo dietro le sbarre scritto dopo aver trascorso, da infiltrato, 72 ore nell’ospedale psichiatrico-giudiziario di Aversa.

Parliamo di edilizia penitenziaria: secondo lei, andrebbe riformata?
«Il problema dell’edilizia carceraria è principalmente quello del sovraffollamento e, quindi, della mancanza di spazi minimi sufficienti a una convivenza carceraria dignitosa. La soluzione potrebbe essere ricercata nel creare nuovi istituti in un’ottica più moderna, ma temo che questo non sia del tutto sufficiente se non si attua, da una parte, una depenalizzazione degli illeciti e, dall’altra, una cosiddetta decarcerizzazione. Credo che, in uno Stato di diritto maturo come quello italiano, non ci sia più possibilità di rinviare questa riforma strutturale del sistema penale e carcerario».

Da anni si parla di diritto all’affettività dei detenuti: perché è importante e come lo si può coniugare con la certezza della pena?
«È un tema centrale. L’affettività dei detenuti è troppo spesso negata e questo contrasta con il principio della rieducazione della pena perché non è certamente educativo, nel senso penale, negare sistematicamente i diritti fondamentali della persona. E non alludo solo a quello della sessualità, ma anche quello delle relazioni affettive che, in chiave rieducativa, appaiono di fondamentale importanza. Si potrebbe seguire la scia dell’esperienza francese delle unitès de vie familiale o dei parloirs familiaux».

Nel nostro Paese quella del carcere è un’emergenza perenne, perché?
«Come ho detto prima, troppo spesso, e a volte inutilmente, si ricorre all’applicazione di una sanzione penale per rispondere a fatti che non assumono rilevanza tale da dover essere considerati idonei a offendere un bene giuridico degno di una risposta penale. Si tratta di avviare un serio e non più rinviabile processo di depenalizzazione accanto al quale immaginare che si può scontare una pena anche “oltre le mura”, ricorrendo a sistemi alternativi dei quali credo che sempre più spesso si debba fare uso. Ovviamente non si può affatto generalizzare, ci sono reati gravissimi e odiosissimi davanti ai quali lo Stato è chiamato a una risposta certa, forte e non mediabile per nessun motivo».

Dal carcere, per come sono oggi le strutture penitenziarie nel nostro territorio, si può davvero uscire migliori?
«Non si può generalizzare. Ogni vicenda ha una sua storia particolare e quindi non credo si possa essere pregiudizievoli verso questo o quel carcere. Sono certo, però, che il tentativo è quello di andare nella direzione di una umanizzazione della pena e quindi di tentare di rendere effettivo il principio costituzionale della rieducazione della pena. Non mi contraddico con la prima risposta. Voglio dire che non si può imputare nulla ad addetti ai lavori, quindi appare più giusto cercare di cambiare il sistema in sé al fine di evitare i risvolti negativi della detenzione carceraria».

In Matricola zero zero uno racconta le 72 ore da “infiltrato” nell’ospedale di Aversa. Cosa ha rappresentato per lei quella esperienza? Cosa le ha lasciato?
«Quell’esperienza è unica nel suo genere, anche perché si trattava di un opg che oggi è stato superato da una riforma attuata in tempi rapidi e di fondamentale importanza per il nostro Stato di diritto. Nel libro è rappresentata la mia esperienza nella sua forza e nella sua drammaticità ma anche nel suo profondo realismo. È stata un’esperienza senza ritorno che mi ha reso per sempre testimone di un sistema che per fortuna non c’è più e, nel contempo, sentinella in guardia contro tentativi di un ritorno al passato che sarebbe a dir poco imperdonabile. E per questa domanda le sono grato proprio perché mi dà la possibilità di ricordare che nulla dovrà essere più come prima in relazione alla risposta di uno Stato democratico nel caso di fatti delittuosi posti in essere da persone incapaci di intendere e volere».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).