Le richieste di Lega e Forza Italia
Non ci sono soldi, Meloni avverte gli alleati sulla manovra: no a regali e bandierine come flat tax o pensioni, si punta a sanità e natalità
Il titolo è pronto, e suona bene. Implicitamente pubblicità comparativa, rivolta ai precedenti governi di centrosinistra che hanno elargito a piene mani regalie di ogni tipo. Ogni riferimento a Giuseppe Conte è intenzionale (gli oneri a carico dello Stato per il 110% sono saliti a 122,996 miliardi al 31 agosto, scrive l’Enea). “Basta con la politica dei bonus”, sentenzia ora Giorgia Meloni, costretta a fare le nozze con i fichi secchi. Ovvero una legge finanziaria per il 2025 intorno ai 25 miliardi. Di cui 17 già impegnati per la conferma della riduzione del cuneo fiscale e aiuti a famiglie e lavoratori. Restano pochi “spiccioli” che la presidente del Consiglio vorrebbe usare per aiutare la natalità, e soprattutto per frenare la parlantina del campo largo: aumentare i finanziamenti per la sanità.
Il problema è che ci sono anche gli alleati, convocati all’inizio della settimana per un pranzo istruttivo durato più di due ore a Palazzo Chigi. Non ci sono tesoretti, ha illustrato il menù il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti, per frenare sul nascere la fase onirica della maggioranza. L’appetito deve essere tenuto a bada. Un problema per l’insaziabile leader della Lega, che pure ha dovuto rinunciare ancora una volta a Quota 41. Non c’è spazio per altri regali. Il riferimento è a un abituale cavallo di battaglia: l’allargamento della flat tax per partite Iva e autonomi fino al tetto di 100mila euro dalle 85 stabilite attualmente. Rinuncia e richiesta ribadite ieri dal capogruppo dei senatori leghisti Massimiliano Romeo: “Ogni anno speriamo che si riesca ad ampliare la flat tax, ci proveremo. Sul tema delle pensioni, consapevoli del fatto che le risorse non ci sono, alla luce delle disponibilità sappiamo che non possiamo avere grandissime pretese“. La sfilata dei desideri è andata avanti con l’esposizione di Antonio Tajani, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia. Che ha rispolverato un caposaldo delle origini, un classico della stagione del fondatore Silvio Berlusconi: l’aumento delle pensioni minime fino a 625 euro per arrivare a 1000 entro fine legislatura.
Intanto quest’anno la manovra sarà anticipata dal piano strutturale a medio termine, che il Consiglio dei ministri approverà il 20 settembre per poi inviare il tutto a Bruxelles. Una missione che il titolare dell’Economia ha debitamente spiegato agli alleati, iniziando un tour di ascolto nella maggioranza. Ieri il turno di Forza Italia, ricevuta in Via XX settembre. “La priorità di FI – si afferma in una nota finale – è da sempre il sostegno alla crescita economica con un’attenzione al sistema sociale. Lavoriamo per la conferma del taglio del cuneo fiscale, dell’Irpef e la detassazione dei benefit aziendali nonché proseguire il percorso di incremento delle pensioni minime”. Nell’aria c’è ancora “virus” Boccia, dal nome della influencer che in due settimane ha interrotto il percorso del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e che ora sembra puntare direttamente contro la presidente del Consiglio. Un contesto da commedia all’italiana che spinge però verso la massima diffidenza. Anche perché sul tavolo resistono due temi extra manovra: Liguria e Rai.
Il candidato che sfiderà Andrea Orlando sarebbe già stato scelto: il viceministro leghista Edoardo Rixi, ma la disfida continua. Secondo Fratelli d’Italia, l’esponente della Lega in Liguria azzera qualsiasi pretesa in Veneto. Ragionamento che Salvini non può accettare, soprattutto per non dare l’impressione al governatore Luca Zaia di cedere così facilmente alle pretese di concordare un terzo mandato. La richiesta è originale: Rixi, braccio destro del segretario, dovrebbe scolorire la sua appartenenza e diventare di fatto l’uomo della coalizione. Nell’incertezza, aleggiano ancora gli ultimi due nomi: Ilaria Cavo e Pietro Piciocchi. Il tempo stringe, nelle prossime 48 ore bisogna chiudere.
Una soluzione va trovata anche per la Rai, ovvero un passo indietro di Forza Italia per la presidenza, che Tajani vorrebbe per Simona Agnes. Serve merce di scambio per le minoranze, il Cda passa con il voto dei due terzi del Parlamento. Gli azzurri riflettono, possono adeguarsi alle richieste in cambio di contropartite. Siamo la seconda forza della maggioranza – rivendica Tajani – Smettetela di trattarci come junior partner. Insomma, la compagnia è inquieta. Dall’altra parte della barricata neanche il campo largo scoppia di salute. Ancora una volta mal comune, mezzo gaudio.
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