Vietato pronunciare, cancellare la memoria: Tienanmen rimane una parola, un’idea, un’utopia inafferrabile non consentita. L’imminente anniversario sarà ancora più amaro. Disgustoso per Pechino, aspro e indigeribile per Hong Kong. Da allora, e sono trascorsi trentuno anni, le libertà dei cittadini cinesi hanno subito delle ulteriori restrizioni: la tecnologia si è evoluta, la digital repression e la disinformazione anche digitale sono diventati i nuovi raffinati strumenti dello Stato padrone. Il 4 giugno, anniversario della strage di piazza Tienanmen, a Hong Kong a Victoria Park si ricordava l’avvenimento. Un’affollatissima e silenziosa marcia notturna dove le candele delle migliaia di manifestanti illuminavano la memoria. Un raduno puntuale e pacifico che veniva ripreso dalla stampa internazionale. Quello di quest’anno sarà un ricordo ancora più significativo: la “sicurezza nazionale” espressione del potere di Pechino tra pochi mesi imporrà a Hong Kong delle restrizioni che, di fatto, cancellano parte di quella “piena autonomia” che nel 1997 era stata pattuita con il Regno Unito al momento della cessione del territorio.

La “grande Cina” mal sopporta la relativa indipendenza delle due appendici Taiwan e Hong Kong. Tutti sanno che quella della “sicurezza nazionale” è un grande ombrello che non riesce a celare il suo vero scopo: il controllo totale, la fine del “un Paese due sistemi”. Il “nuovo ordine globale” dell’onnipotente Presidente Xi Jinping non può permettersi di presentarsi al di fuori dei confini cinesi come garante, amico e protettore senza prima aver risolto le sue “questioni interne”. La memoria di quelle tragiche settimane, le manifestazioni del 1989 incominciarono a metà aprile e si conclusero in un bagno di sangue il 4 giugno quando Deng Xiaoping usò la forza autorizzando anche l’intervento dei carri armati, sono passate alla storia anche attraverso il celebre scatto che immortala il ragazzo in camicia bianca che da solo contrasta l’avanzata della fila dei tank. Quei movimenti di piazza di Tienanmen hanno anticipato di qualche mese la caduta del muro di Berlino (novembre 1989) e il successivo sgretolamento dell’impero sovietico.

Il Partito comunista cinese è sopravvissuto alle vicende del “secolo breve” e negli ultimi trenta anni, con la complicità dell’avido Occidente alla ricerca delle produzioni a basso prezzo, ha inventato e realizzato il modello del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Il mondo travolto dal virus democratico a guida autoritaria sta vivendo quel “disordine globale” che si manifesta con i fatti di Minneapolis e la repressione di Hong Kong.

Probabilmente avvenimenti tutti figli dello stesso Coronavirus: il sistema neoliberista degli Stati Uniti ha immediatamente espresso milioni di disoccupati, colpendo soprattutto le fasce più deboli particolarmente esposte e con poche tutele travolte da una crisi senza precedenti. In Cina il virus obbliga il regime di Pechino a limitare ulteriormente le libertà individuali. Sembra proprio che il virus cinese ci abbia condannato, anche in Italia abbiamo vissuto/subito un periodo (temporaneo, ci si augura) di “libertà sospese”, a ripensare modelli di governance che non sono stati in grado d’affrontare l’emergenza Coronavirus. Che per difendersi e sopravvivere a se stessi devono utilizzare strumenti repressivi. Il virus è sopportabile, ma non lo è la museruola.