Quella italiana è in testa di gran lunga nella gara di sciatteria, ma è il complesso dell’informazione europea a dimostrare tutta la propria provinciale trascuratezza quando attribuisce a una autistica determinazione del primo ministro israeliano o a un concerto di falchi governativi l’ampliamento delle operazioni belliche in Libano. La baggianata da redazione pacifista du côté de chez Hezbollah secondo cui si tratterebbe della “guerra di Bibi” trascura, appunto, che presso la società israeliana e da parte di molta opposizione si imputa semmai a Netanyahu una colpa diversa, anzi contraria. E cioè di essersi mosso tardi e male proprio lassù, a Nord, lasciando che la Galilea fosse incenerita e non curandosi dei sessantamila israeliani costretti ad abbandonare le loro case, le loro aziende e le loro attività.
Quei titolisti alla carlona e quegli osservatori da conciliabolo in autogrill non sanno (ed è grave) o mostrano di non sapere (ed è peggio) che un forte motivo di contestazione dell’azione del primo ministro, impugnato proprio da quelli che firmerebbero immediatamente per la sua destituzione, riguarda esattamente la mancanza di coraggio che gli si addebita nell’essersi concentrato malamente su Gaza mentre lasciava dilagare l’infezione settentrionale. Il fatto, poi, che quei critici e contestatori avessero ragione o no importa abbastanza poco: quel che conta è che le loro proteste e le accuse di inerzia che da mesi rivolgono a Netanyahu disegnano uno scenario ben diverso rispetto a quello comunemente rappresentato, con il capo del governo in posa da dottor Stranamore a cavallo del missile mentre il paese si duole di essere messo in pericolo dal pazzoide che molesta le accomodanti milizie filo-iraniane.
Il fatto è che le migliaia di missili e razzi che, da undici mesi a questa parte, Hezbollah lancia sui civili israeliani non pungolano l’orgoglio nazionale di qualche fondamentalista, ma – per quanto la cosa produca il pacioso disinteresse fuori da Israele – attenta alla sicurezza e alla vita di centinaia di migliaia di persone. Gente che tutti i giorni scende nei rifugi mentre nel salotto europeo si discute sul diritto acquisito dei militanti di Hezbollah di organizzare un altro 7 ottobre senza interferenze nei loro sistemi di comunicazione. La violazione della privacy dei cercapersone.
Il tutto, ovviamente, con il diuturno richiamo alla proporzionalità e con il giudizioso appello alla cautela affinché sia scongiurato il rischio dell’escalation, giacché le esigenze di pace della regione reclamano ragionevolmente che non si alteri la normalità dei bombardamenti verso le città israeliane. Non troverebbe riscontri chi volesse fare una ricognizione delle volte in cui i leader europei e i caporioni delle organizzazioni internazionali hanno trovato il tempo di dire qualcosa ai signori che puntano su Israele centocinquantamila ordigni. Zitti, per undici mesi. Ma vocianti ora, in vista dell’anniversario del Sabato Nero, contro il paese che ha l’impudenza di contrastare quelli che vorrebbero ripetere l’esperimento.