Due anni anche dietro le sbarre, poi...
“Non era concorso esterno”, assolti i fratelli Cesaro dopo 4 anni di gogna
Quattro anni di custodia cautelare, di cui due in carcere, e poi la gogna mediatica, le accuse e i sospetti, l’inchiesta e il processo. Una lunga attesa durata fino al pomeriggio di ieri, quando il giudice Francesco Chiaromonte, presidente del collegio del Tribunale di Napoli Nord, è uscito dalla camera di consiglio con un dispositivo di sentenza che vuol dire assoluzione per Aniello e Raffaele Cesaro, gli imprenditori fratelli di Luigi, il senatore di Forza Italia ed ex presidente della Provincia di Napoli. Assoluzione da un’accusa che è di quelle che possono marchiare a vita, che riescono a condizionare vite personali e professionali. Un reato su cui spesso la magistratura vira quando si tratta di implicare un politico in un’inchiesta antimafia. In due parole: concorso esterno.
Sì, i fratelli Cesaro erano stati trascinati in giudizio con l’accusa di concorso esterno in associazione camorristica. La Dda napoletana sospettava che nel loro ruolo di imprenditori avessero in qualche modo favorito il clan Polverino, ritenuto egemone nel comune di Marano. Tutta la vicenda giudiziaria ha ruotato, infatti, attorno alla realizzazione del Pip di Marano, un insediamento industriale su cui, secondo pm e carabinieri, aveva messo le mani anche la camorra. Il teorema accusatorio era stato costruito sulla base, soprattutto, di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di esperti che avevano lavorato sui vari adempimenti tecnici del Pip, e l’accusa si concentrava sull’ipotesi che collaudi e servizi di urbanizzazione avessero risentito dell’influenza dei Cesaro e indirettamente del clan Polverino. Un’accusa che la difesa dei fratelli Cesaro ha demolito fino ad arrivare alla sentenza di ieri. I giudici hanno stabilito l’assoluzione con la formula «perché il fatto non sussiste».
«Dopo quattro anni di custodia cautelare, di cui due in carcere, viene certificata l’innocenza di Aniello e Raffaele Cesaro rispetto alla infamante imputazione di essere venuti a patti con il clan Polverino», sottolinea il professor Vincenzo Maiello che con l’avvocato Michele Sanseverino ha difeso Aniello e Raffaele Cesaro nel processo davanti al Tribunale di Napoli Nord. «Dobbiamo dare atto al Tribunale – aggiunge il professor Maiello – di non essersi lasciato condizionare dal clima pesante e diffuso di pregiudizio che, anche grazie a una martellante campagna mediatica, si era venuto a determinare nei confronti dei miei assistiti. Resta l’amarezza di un processo caratterizzato da un regime cautelare di inusitata durata, che ha prodotto ai miei assistiti livelli indicibili di sofferenza fisica e psicologica e che ha arrecato danni enormi alle loro attività economico-imprenditoriali».
Per Aniello Cesaro c’è stata, al termine del processo, una condanna a sei anni, pena dimezzata rispetto a quella chiesta dai pm, ma per reati che non risultano collegati ad attività di tipo camorristico. Condanna, inoltre, per il tecnico Oliviero Giannella (a dieci anni di reclusione) e per l’imprenditore maranese Antonio Di Guida (a sette anni). Assolti, infine, dall’ipotesi di fittizia intestazione dei beni Salvatore Polverino e Antonio Visconti. Si chiude così il processo sull’area Pip di Marano. Uno scandalo giudiziario scoppiato a dicembre 2016 con sequestri e accuse pesantissime soprattutto nei confronti dei fratelli Cesaro, con tutte le conseguenze che un’inchiesta di tale portata può avere sulla vita dei due fratelli imprenditori e delle loro aziende. Ieri l’assoluzione in primo grado.
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