Il caso a Torino
“Non mi trucco più, non mi fido di nessuno”, parla la maestra vittima di revenge porn costretta alle dimissioni
La maestra “svergognata” ha 22 anni e una vita ormai segnata. Da una specie di tribunale marziale e morale: invece che vittima è diventata colpevole. Victim blaming, lo chiamano. Il caso è esploso a livello nazionale. Un ragazzo, nel 2018, rende pubbliche nelle chat del calcetto video e foto private della sua fidanzata. Lei è una maestra di un asilo di Torino. La madre di un alunno, moglie di un uomo nel gruppo del calcetto, riconosce la ragazza. La direttrice della scuola, ricostruisce l’accusa, costringe la maestra a rassegnare le dimissioni. Ieri, lei, la vittima di tutta questa storia, ha deposto in tribunale.
“Questa vicenda ha stravolto la mia esistenza – ha detto al Corriere della Sera – Sono sempre stata una ragazza esteticamente molto curata. Oggi quasi non mi trucco più. Ho paura di indossare un abito corto, penso che la gente mi guardi con malizia. Prima lo facevo per piacere a me stessa, ora temo solo di essere giudicata. Non mi fido più delle persone, per non parlare degli uomini”. Una vita segnata. A soli 22 anni.
Nessuno, dice, le ha chiesto scusa. Racconta l’incontro in cui fu costretta a dare le dimissioni: “La direttrice mi apostrofò con frasi irripetibili e mi disse che era meglio me ne andassi spontaneamente, altrimenti avrebbe dovuto scrivere sulla lettera di licenziamento il motivo. E aggiunse che non mi avrebbero assunta neanche per pulire i bagni della stazione. Che su di me ci sarebbe stato un marchio indelebile”. Nessun aiuto neanche dalle colleghe: “Anche loro mi hanno accusato senza neanche cercare di capire cosa fosse successo. Contro di me solo tanta cattiveria. Nessuna mi ha difeso quando sono stata messa alla gogna”.
Non un genitore, superiore, collega aveva avuto da ridire della professionalità dell’insegnante prima dell’episodio di revenge porn. Il suo ex, aggiunge, lo perdonerebbe pure, ma non potrebbero mai essere amici. Il suo unico desiderio: fare la maestra. Non ha più trovato lavoro “da quando sono stata costretta a licenziarmi, “ho un marchio addosso che non riesco a cancellare”.
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