Il caso Cospito
Non si fa scontro politico sulla pelle dei detenuti
L’altro giorno alla Camera c’ è stata l’ennesima bagarre sulla giustizia. Durante la discussione sul caso Cospito, il deputato Donzelli ha rivelato il contenuto di una conversazione captata in carcere tra Cospito ed esponenti della ‘ndrangheta e della camorra. Donzelli ha citato documenti reperiti presso il ministero della Giustizia e ha anche riferito di un incontro che Cospito ha avuto in carcere a Sassari con i parlamentari del Pd Serracchiani, Verini, Lai e Orlando che gli avevano fatto visita per sincerarsi della sue condizioni di salute.
Si è scatenato il finimondo da parte delle opposizioni perché Donzelli avrebbe rivelato il contenuto (appreso dal sottosegretario Delmastro) di documenti da considerarsi riservati. Questa vicenda crea non pochi imbarazzi al ministro Nordio che oggi si trova a dover gestire uno scivolone proprio di quella parte del suo partito che avrebbe dovuto aiutarlo a districarsi nel labirinto del palazzo in quanto “neofita” della politica. Scene come quella dell’altro giorno, purtroppo, allontanano la speranza di arrivare a una vera riforma della giustizia. Il 41bis è un argomento molto delicato e se lo si affronta: a) con le solite contrapposizioni destra/sinistra, b) guardando alla ricerca del consenso immediato, cioè dicendo soltanto quello che al momento può piacere all’opinione pubblica, non c’è alcuna possibilità di produrre qualcosa di buono.
La sinistra per anni ha raccontato la favoletta che chi stava a destra era mafioso o comunque sempre pronto a difendere i criminali e che loro stavano sempre dalla parte giusta, quella della legalità e delle procure. La destra oggi, dopo anni di queste strumentalizzazioni, giustamente reagisce, ma in maniera scomposta. Il popolo è facilmente suggestionabile, basta una campagna mediatica ben orchestrata e il gioco è fatto. Ad esempio, in nome della lotta alla mafia si è detto tutto e il contrario di tutto e si sono giustificate posizioni giustizialiste inaccettabili (da ultimo, quella sulle intercettazioni che nulla hanno a che fare con i reati di mafia) e anche oggettive incapacità, errori o personalismi di pm sempre pronti a salire in cattedra. Allora, ecco che parlare serenamente di una riforma del 41 bis è impossibile, perché è impossibile entrare nel merito in quanto i giustizialisti chiamano a soccorso la piazza e poi, in generale, un po’ tutti hanno paura ad andare controcorrente. Bisognerebbe iniziare a raccontare le cose correttamente.
L’altro giorno un componente del governo ha dichiarato che sul 41 bis la decisione è del magistrato e non del governo: non è proprio così, in quanto l’applicazione la decide il ministro della Giustizia con la possibilità per il detenuto di fare ricorso al Tribunale di Sorveglianza di Roma. Poi, si dovrebbero affrontare le cose con equilibrio, bilanciando gli interessi in gioco (esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali della persona) e usando i principi del diritto. Ad esempio, non abolendo il 41 bis, ma applicandolo in concreto solo dopo un’attenta e approfondita valutazione delle caratteristiche del detenuto e consentendo un prolungamento soltanto in base a una rivalutazione della stessa pericolosità nell’ attualità. Occorre ricordare che il 41 bis esclude l’applicazione del trattamento rieducativo che può portare anche a dei risultati. Allo stato, parlare di tutto questo è impossibile.
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