Virus&Retorica/2
Non si muore solo di Covid-19, ecco i malati più a rischio
Chi scrive aveva salutato come una pagina gloriosa della storia d’Italia, il protocollo sottoscritto dalle parti sociali il 14 marzo scorso, nel tentativo di salvaguardare la salute dei lavoratori senza fermare del tutto la produzione. I leader sindacali non hanno retto e hanno fatto pressioni su Conte per ottenere (come poi è avvenuto) ulteriori, confuse restrizioni. Il bello è che sono arrivati al punto, tragicomico, di minacciare uno sciopero generale. Sarà la prima volta che si sciopera …. in pigiama, da casa. Poi, diciamoci la verità: oggi gli scienziati vengono ascoltati (sia pure nella Babele delle opinioni) e riveriti. Ma è possibile che questi nuovi guru paludati non vadano al di là dei consigli (lavati le mani, non uscire, ecc.) che generazioni di nonne hanno impartito a generazioni di nipoti?
Si parla di ‘’sconfiggere’’ il maligno rinchiudendoci tra le mura di casa. Come se il virus non trovando più nessuno da contagiare, togliesse il disturbo. Il Covid-19 ormai è entrato come tanti altri virus, prima di lui, nella nostra quotidianità; il problema da risolvere – come ha spiegato Ilaria Capua – è quello di imparare a convivere con questo nuovo virus come conviviamo con i tanti suoi predecessori, certo rafforzando, nel tempo, i nostri strumenti di difesa (vaccinazioni e terapie). La serrata totale, poi, si rivelerà impossibile, perché la garanzia dei beni essenziali richiede tante interconnessioni intersettoriali che non si possono individuare a tavolino, con il rischio di rallentare e mettere in difficoltà le forniture.
Se si spezzano queste filiere trasversali vedremo le persone che non si fermano più distanziati davanti ai supermarket, ma che li saccheggiano. E chi erogherà i cosiddetti servizi essenziali se gli apparati pubblici chiudono? L’aspetto più inquietante della crisi – e in questo caso è grave la responsabilità della comunicazione – è lo smarrimento di ogni ragionevole relazione con la malattia. Qui sta la vera pandemia della psicosi. Senza togliere nulla alla drammaticità della pandemia “venuta dal freddo”, ai suoi effetti sul Servizio Sanitario Nazionale, all’eroismo degli operatori nonostante le grandi condizioni di difficoltà e di rischio personale, al compianto per le vittime e le loro famiglie, sarebbe più onesta una comunicazione dei media (quella istituzionale dell’Iss e della Protezione civile è corretta: basterebbe solo diffonderla) capace di trasmettere all’opinione pubblica il senso delle proporzioni e della misura. Non si muore soltanto di Coronavirus.
In Italia, in totale, vi sono stati 647mila decessi nel 2017, 636mila nel 2018, 647mila nel 2019 (di cui 302mila al Nord così ripartiti: Nord Ovest, 179mila, Nord Est, 124mila). Secondo l’Istituto Superiore della Sanità (si veda il Portale dove viene pubblicato il relativo monitoraggio), dall’inizio della sorveglianza (fissata al 14 ottobre 2019), fino alla settima settimana del 2020, sono stati stimati circa 5.632.000 casi di sindrome simil-influenzale in tutto il Paese. Al termine della stagione influenzale 2018-2019, i casi erano stati 8.104.000, tra il 2017 e il 2018, 8.677.000 e tra il 2016 e il 2017, 5.441.000.
I morti per l’influenza cosiddetta stagionale sono, mediamente, in Italia, 8mila all’anno. L’82% dei casi gravi e il 97% dei decessi presentano almeno una patologia cronica preesistente. Non si deve dimenticare poi che la principale causa di morte in assoluto sono le malattie del sistema cardiocircolatorio: 638 persone ogni giorno. C’è poi il problema del concorso di patologie. L’Iss ha provveduto a pubblicare una casistica – vedi la tabella in alto – da cui risulta che molti decessi riguardano persone sofferenti di altre gravi patologie pre-esistenti.
Negli ultimi giorni è scoppiata anche la “polemica sulle preposizioni”. Si muore “per” o “con” il coronavirus? È corretto indicare (ecco il “con”) se il contagio che ha determinato il decesso sia associato o meno ad altre patologie? Quelli (anche l’Iss) che usano il “con” vengono considerati dei “truffaldini”.
Si muore di Covid-19 e basta. Eppure secondo le regole di classificazione dei decessi utilizzati per compilare – secondo standard internazionali – i rapporti dell’Osservatorio sulla salute degli italiani si deve tener conto sia della mortalità e delle sue cause per fasce di età, sia del concorso di più patologie (sepsi-correlate).
Nel rapporto sul 2018 (in tempi immuni dal contagio), l’argomento veniva affrontato così: «È proprio in tale fascia di età (over 75, ndr) che si concentra la maggior parte dei decessi sepsi-correlati (circa il 75% del totale); ciò a conferma che si tratta di un fenomeno associato all’invecchiamento della popolazione spiegabile con una maggiore presenza di multicronicità nei soggetti che determina un conseguente scadimento delle condizioni fisiche. È inoltre utile notare come il tasso di mortalità sepsi-correlato, calcolato su tutti i decessi che menzionano la sepsi, sia 7 volte più elevato rispetto al tasso calcolato sui decessi che presentano la sepsi unicamente come causa iniziale».
© Riproduzione riservata