La lezione dimenticata della pandemia
Non vietiamo i cellulari ai giovani, impariamo a guardare il mondo con i loro occhi
Non si dovrebbe mai proibire quello che non si ha il potere di prevenire, diceva con altre parole e in tempi non sospetti Napoleone Bonaparte: la sua riforma del sistema scolastico resta una pietra miliare nella storia francese.
Cellulare si, cellulare no
Alcuni secoli dopo in Italia, regno indiscusso di linee guida, indicazioni e orientamenti (preferibilmente di segno opposto), un bel divieto ha messo un punto alla querelle “cellulare sì, cellulare no” a scuola: l’ultima circolare del ministro Valditara. Al divieto ministeriale si è aggiunta anche una petizione su change.org per estenderlo pure a casa e impedire agli under 16 di aprire profili sui social.
La soluzione è chiudere i profili social dei minori?
Ma in che modo pensano gli appellanti che il governo debba mettere in atto – concretamente, non a chiacchiere – questa sorta di rivoluzione luddista, nell’anno di grazia 2024? Distruggendo i dispositivi già a disposizione dei ragazzi? Chiudendo d’imperio i profili social dei minori? Oppure, in un colpo solo, azzerando anni e anni di fantomatica ricerca di una “integrazione” (non solo in didattica, ma anche nella propria identità) nel modo di comunicare e di relazionarsi con gli altri?
Come ogni terapeuta dell’età evolutiva insegna, tutte le proibizioni – anche quelle che si propongono fini nobili – hanno in comune il tentativo di far perdere le tracce dei propri “perché”: tutte le volte, finiamo col vietare quello su cui sentiamo di aver fallito. Come classe dirigente, come docenti, come genitori. Ma la complessità, nella quale tutti siamo immersi non è liquidabile a colpi di circolari e di divieti: non occorre essere pedagogisti per capirlo. Né ministri dell’Istruzione.
E la realtà è che, dopo il grande entusiasmo nei confronti della tecnologia, dopo gli obiettivi del Pnrr, dopo l’avanguardia dell’Intelligenza Artificiale, ci siamo accorti che noi adulti, tra una normativa e l’altra, non siamo riusciti a creare un sentiero sicuro per essere cittadini digitali fuori e dentro l’aula. Noi che abbiamo vissuto tra un binario e l’altro: demonizzando in modo assolutistico le macchine oppure inneggiando all’evoluzione, che ci farà bene e ci porterà lontano.
La lezione dimenticata della pandemia
Abbiamo già dimenticato una delle lezioni della pandemia: ristretti come eravamo negli spazi domestici, affidavamo allo smartphone la didattica a distanza e la stessa vita relazionale dei nostri ragazzi. L’emergenza è passata ma non siamo ancora riusciti a dare corpo a un senso di responsabilità comune rispetto alle tante dimensioni che il cellulare attiva: identitaria, sociale, emotiva. Secondo i dati dell’Osservatorio delle competenze digitali, circa la metà degli italiani non ha ancora sviluppato le competenze digitali necessarie. Ma quello preoccupa di più è la scarsa cultura digitale della maggior parte degli insegnanti. Che resta, tecnicamente, analfabeta digitale.
E allora, invece di vietare, perché non proviamo a guardare il mondo con gli occhi dei minori che questi strumenti li usano? Perché non accogliere la loro visione del mondo senza rinunciare a regole condivise?
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