È tempo di riforme. Parliamo di quelle che andranno a modificare la Costituzione sulla giustizia e che renderanno finalmente anche quello italiano un sistema processuale pienamente accusatorio. E che sono: la separazione tra l’organo dell’accusa e il giudice con la conseguente divisione di due separati concorsi, la nascita di due Csm e la discrezionalità dell’azione penale. Cui si dovrebbe accompagnare la creazione dell’Alta Corte di nove componenti per giudicare i comportamenti di magistrati. Questa è la bozza del governo che, una volta approvata dal consiglio dei ministri, approderà alla Camera dei deputati dove si affiancherà, o congiungerà, alla proposta di legge presentata dai partiti e in discussione avanzata.

No alla ‘mediazione’ delle toghe

Ma c’è un termine che il ministro Nordio dovrebbe evitare come la peste, ed è la parola “mediazione”. Non perché in politica sia una parolaccia, anzi è spesso un merito. Ma non lo è se si devono fare le riforme sulla giustizia e il governo e il parlamento si lasciano condizionare dal sindacato delle toghe. Finisce sempre male, cioè nel nulla. Lo dimostra la storia delle Bicamerali. Quella presieduta da Massimo D’Alema per esempio fu affossata dall’intervista di un pm di Mani Pulite al Corriere della sera. Così più o meno la precedente di De Mita. Per questo Nordio deve diventare Ulisse, legarsi al testo delle riforme e non ascoltare il canto delle sirene. La sirena Santalucia, presidente del sindacato, ha già chiesto audizione “prima” che la pdl sia pronta. E ha finora, stranamente, usato toni piuttosto misurati. Ma si sa che lui stesso e gran parte dell’Anm, che andrà a congresso nei prossimi giorni, non son d’accordo su niente. Prendiamo l’istituzione dell’Alta Corte, che era stata un cavallo di battaglia di Luciano Violante e oggetto della “bozza Boato” dal nome del deputato relatore nella Bicamerale di D’Alema.

L’istituzione di questo nuovo organismo, è necessaria non solo per una questione di principio, ma anche per rompere quel meccanismo per cui il magistrato, giudicato dal collega della porta accanto, gode del privilegio di immunità e impunità pari al 99,9 periodico per cento. Condizione necessaria perché l’Alta Corte funzioni con senso di giustizia e serietà è che al suo interno non ci siano magistrati, ma solo stimati professori universitari e avvocati di lungo corso. Possibilmente con la barba bianca. Se la sirena Santalucia o altri magistrati slegassero a Nordio quelle mani che devono firmare la riforma e lo convincessero a inserire nella Corte qualche collega, il cedimento sarebbe totale. Niente cambiamento.
L’allarme dove riguardare anche e soprattutto la separazione delle carriere e la nascita del giudice come figura terza tra le parti di accusa e difesa, e imparziale. Non è un caso che quella dell’imparzialità non venga mai ricordata, nelle dichiarazioni delle toghe, come indispensabile e preziosa al fianco delle rivendicazioni di indipendenza e autonomia. Si lancia costantemente l’allarme del controllo del governo sull’iniziativa del pubblico ministero. Senza mai ricordare che nei Paesi in cui il pm non è “irresponsabile” come in Italia, ma deve rendere conto del proprio operato, i processi si fanno, senza ostacolo alcuno.

L’esempio della Francia

Ne è esempio la Francia, che è arrivata fino a indagare il proprio ministero della giustizia. Ed è sotto gli occhi di tutti quel che sta accadendo negli Stati Uniti, dove si processa addirittura un ex Presidente. In ogni caso, in nessuna proposta di legge finora esaminata in Parlamento, né nel pdl del governo esiste questa possibilità. Ma l’allarme mediatico, con tanto di raccolta di firme, da parte della magistratura più politicizzata, in gran parte composta di pm, continua a fondarsi su qualcosa che non esiste.

È vero invece che già la ministra Cartabia, pur prevedendo il mantenimento dell’articolo 112 della Costituzione sull’obbligatorietà dell’azione penale, ha introdotto nella propria riforma la delega al legislatore della selezione dei criteri di priorità. Il progetto del ministro Nordio, per ora come ipotesi, prevede la discrezionalità dell’azione penale come perno fondamentale del sistema accusatorio. Del resto qualunque pubblico ministero conosce l’impossibilità di esaminare tutti i fascicoli che ha sul tavolo.

La scelta delle priorità è ineliminabile. Non si può perseguire tutti i reati. Ma quello che succede oggi sotto l’ombrello ipocrita dell’obbligatorietà è l’arbitrio. Arbitrio dei capi delle procure se non, addirittura, del singolo sostituto. Smantellare questo castello di storiche incrostazioni difficili da disvelare soprattutto all’opinione pubblica e nel caso di ricorso al referendum, richiede prima di tutto un po’ di coraggio.

Ma anche grandi capacità di comunicazione. Tenendo conto prima di tutto del fatto che la stessa magistratura non è così compatta come viene fatta apparire. Basterebbe ricordare il flop dello sciopero contro il ministro Cartabia di due anni fa, con il suo modesto 48 per cento di adesione. Soprattutto tra i più giovani, c’è un po’ di insofferenza nei confronti di questi “santoni” cui non va mai bene niente. E che citano Giovanni Falcone senza dire che proprio lui era il primo sostenitore del processo accusatorio e della separazione delle carriere.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.