La relazione del ministro della Giustizia
Nordio duro sulle intercettazioni: “La riforma si farà”
Alla fine il ministro Nordio perde la pazienza e sbotta: vi interessa solo parlare di intercettazioni? Allora sappiate che su questo attueremo la rivoluzione copernicana, non vacilleremo, non esiteremo, andremo fino in fondo. Mezzo minuto di replica nell’aula del Senato dove ieri mattina il guardasigilli era atteso per la sua relazione sulla giustizia. Ampia e approfondita. Accolta da un soddisfatto Presidente La Russa, che lo ha ringraziato “per lo spessore del suo intervento”.
Non apprezzata dai partiti dell’opposizione che, non potendo replicare sugli interventi relativi al processo civile né sui progetti di riforma carceraria, rimangono vincolati al tema che il responsabile del Pd Walter Verini considera “divisivo” e che gli offre l’occasione, come se ce ne fosse stato bisogno, di aggrapparsi a una toga, quella del procuratore nazionale antimafia Melillo quando dice che le intercettazioni sono importanti non solo per colpire i reati di mafia, ma anche quelli meno gravi. Tralasciando di sottilizzare sul fatto che ai magistrati non spetta il compito di “colpire” e che le captazioni sono solo strumenti di indagine, siamo sempre alla favoletta del lupo e l’agnello. Se il ministro dice che bisogna diminuire il numero delle intercettazioni, gli si replica che non vuole combattere la mafia. Se lui si sgola, anche troppo, a ribadire che certo, per i reati di mafia e terrorismo sono importanti, allora si allarga il campo a contestare il fatto che spiare è rilevante sempre. Alla faccia dell’articolo 15 della costituzione. Lo dice un alto magistrato, quindi chapeau!
Eppure gli impegni assunti dal guardasigilli ieri mattina sono importanti. E lo si sarebbe potuto stimolare, o anche inchiodare su tempi e modi. Perché quello è il punto. Abbiamo un ministro campione di garantismo, il quale prende la parola chiarendo subito “il nostro fermo proposito è di attuare nel modo più rapido ed efficace il garantismo del diritto penale”. E che poi chiarisce, a un Parlamento che dovrebbe esser stato già reso sensibile dal dibattito della precedente legislatura e anche da un provvedimento approvato dai tanti che erano già presenti, “realizzeremo la tutela della presunzione di innocenza della persona, assicurandone la dignità e l’onore durante le indagini e il processo”. Impeccabile discorso, come sempre. Il problema però è che venga esplicitato meglio il come e quando, e con quali strumenti tutto ciò sarà garantito. Per esempio, al dottor Nordio non sarà sfuggito il fatto che un importante procuratore, il dottor Gratteri da Catanzaro, abbia già in due occasioni televisive ironizzato pesantemente sul provvedimento già votato dal Parlamento precedente. E abbia dichiarato con sarcasmo, in occasione del suo solito blitz: oggi abbiamo arrestato duecento presunti innocenti. E abbia anche tenuto una conferenza stampa in violazione delle nuove regole. Ora, se addirittura ci sono magistrati che della presunzione di non colpevolezza paiono infischiarsi, con quali strumenti pensa il ministro di far applicare la norma già esistente?
E anche su quella sorta di contrappeso obbligatorio quanto meno nella cultura politica della presidente del consiglio (e non solo) che è “la certezza della pena”, le parole del guardasigilli necessitano di gambe su cui camminare. “Una pena che non coinciderà sempre e solo con il carcere, ma che sarà comunque afflittiva, certa, rapida, proporzionata, e orientata al recupero del condannato secondo il nostro dettato costituzionale”, può voler dire tutto e niente. Come la mettiamo per esempio con l’ergastolo ostativo già dichiarato incostituzionale, e quel decreto, di cui Giorgia Meloni mena vanto, che sottopone il detenuto alla prova diabolica che rende nei fatti inapplicabile il ricorso ai benefici penitenziari? E quindi rimane incostituzionale? Stiamo dunque parlando di carcere. E del suo funzionamento. Il che è un tema centrale, in quanto strettamente legato da vincoli di parentela, per la stessa amministrazione della giustizia. La prigione è il luogo di verifica sul funzionamento del processo, quindi della professionalità dei giudici e anche della “forza tranquilla” dello Stato.
I tanti suicidi dello scorso anno hanno colpito la sensibilità del ministro Nordio. Il quale ha, per ora, solo afferrato il problema per la coda, tralasciando di fare accenno a come far entrare un numero minore di persone in carcere e come cominciare a farne uscire un po’, come per esempio tossicodipendenti e malati psichici, e magari anche tutti coloro che devono scontare meno di un anno di pena. È comunque importante anche la pena che cura e che dà attenzione al detenuto come persona, che ha un presente e anche un futuro che non abbia solo il sapore delle sbarre. Quindi “massimo impulso”, propone il ministro, alle attività di trattamento, anche con aumento degli spazi e dei tempi. Così come l’avviamento al lavoro. Ci sono istituti di pena, ma questo il ministro certamente lo sa, nei quali si combatte la noia, che spesso porta ad atti autolesionistici, con l’impegno di studio e di lavoro. Si combatte anche la recidiva, con le attività lavorative.
Per questo è interessante sentir dire “Stiamo attuando un progetto per assicurare il lavoro a chi esce dl carcere attraverso defiscalizzazione delle retribuzioni a chi ottiene il lavoro una volta espiata la pena”. Ottimo progetto. Ma occorrerà costruire una rete che coinvolga il mondo delle imprese ma anche degli enti locali e di quel terzo settore di associazioni di volontariato che sono la ricchezza del nostro Paese. Perché su questi progetti non si impegnano tutte le forze politiche, invece di appigliarsi solo alle intercettazioni?
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