La Commissione europea ha dato il via libera al “matrimonio” tra Ita e Lufthansa. Un lungo parto che ha creato non poche tensioni tra Bruxelles e Roma. Con l’ok della commissaria europea alla Concorrenza, Margrethe Vestager, si chiude una lunghissima vicenda imprenditoriale iniziata con la crisi di Alitalia – trasformatasi poi in Ita – e completata con l’arrivo dei tedeschi. Il colosso di Colonia acquisirà dal ministero dell’Economia il 41% di Ita attraverso un aumento di capitale di 325 milioni di euro. Entro il 2033, poi, Lufthansa acquisirà il 100% della società nata da Alitalia per un investimento totale di 829 milioni. In parole povere: il popolo italiano non metterà più un euro in questa vicenda dopo anni di sprechi e di soldi buttati per ripianare le perdite della compagnia di bandiera.

Il via libera europeo arriva all’indomani del passaggio della rete infrastrutturale delle telecomunicazioni da Tim al Consorzio guidato dal Fondo statunitense Kkr. Un’altra operazione importante per i conti pubblici del Belpaese che consentirà a Tim di scrollarsi di dosso un debito complessivo pari a circa 14 miliardi di euro ma, soprattutto, permetterà nuovi investimenti per la digitalizzazione dell’Italia a carico di attori privati. In entrambi i casi le reazioni del governo sono entusiaste. Per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, “l’esecutivo mette mano ad annosi problemi che questo governo ha dovuto affrontare”. Come dare torto al ministro leghista? Chi crede nel mercato, nella libera circolazione dei capitali, nella globalizzazione degli affari ha sempre guardato con molta speranza a questo tipo di operazioni.

Cosa dicevano Meloni e Salvini su Alitalia (ITA)

L’attuale esecutivo, però, è composto da esponenti che hanno visto spesso come fumo negli occhi la vendita di asset italiani all’estero o la privatizzazione dei “gioielli di famiglia”. Basterebbe ricordare le dichiarazioni di Giorgia Meloni sulla necessità “di difendere gli interessi nazionali” contro i colossi globali (18 agosto 2022). Oppure le frasi del leader della Lega, Matteo Salvini, datate 13 febbraio 2018: “Alitalia non va svenduta alle multinazionali o alle società straniere ma va valorizzata come compagnia di bandiera”. Sulla stessa linea le frasi di Fabio Rampelli (esponente di spicco di Fratelli d’Italia) a MilanoFinanza: “Bisogna tenere lo Stato dentro la compagnia in quota maggioritaria”, evitando “l’accordo inconfessabile per consegnare il business del trasporto aereo italiano ai tedeschi”. Ancora, chi ricorda il post pubblicato sul profilo Instagram proprio da Giorgia Meloni il 18 dicembre 2020: “Approfittando del silenzio della stampa mainstream, il governo pentastellato sta dando vita ad un nuovo strisciante ciclo di privatizzazioni: siamo di fronte ad un nuovo ‘1992’, con una classe politica che invece di pensare al bene pubblico lavora per garantire la rendita a gruppi finanziari stranieri”.

Il no alle privatizzazioni

Si potrebbe continuare per molto a lungo a riportare le dichiarazioni degli esponenti sovranisti, tutte con alcuni elementi in comune: no assoluto alle privatizzazioni e no alla vendita all’estero dei “campioni” nazionali. Poi si arriva al Governo e bisogna fare i conti con la realtà. È necessario fronteggiare un debito pubblico enorme e allo stesso tempo provare a stimolare nuovi investimenti per favorire l’efficienza, la produttività e la crescita del Pil. E cosa fa il governo sovranista? Lancia un processo di privatizzazioni da 20 miliardi di euro in tre anni. Non solo. Non si oppone e agevola l’ingresso di capitali stranieri in importanti aziende italiane per evitare il loro fallimento o garantire gestioni più valide di asset fondamentali. Sia chiaro. I riformisti non possono che plaudere a simili iniziative, sempre che lo Stato resti vigile nel controllare che gli investimenti non diventino occasioni per razziare il valore aggiunto italiano. Ciò che sorprende è mettere a confronto le dichiarazioni fatte prima dell’arrivo al governo con le azioni successive. Fare i conti con la realtà è un prezzo che tutti gli estremismi prima o poi devono pagare. All’opposizione si può anche urlare: quando i soldi sono pochi e le necessità molte, siano benedetti gli investimenti esteri in aziende italiane.

Angelo Vazzariello

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