Qualunque sarà l’esito del voto oggi, a Strasburgo, sulla fiducia alla nuova Commissione Ue, presieduta da von der Leyen, una cosa è certa: il cordone sanitario non ha tenuto. Il progetto nato subito dopo le europee di giugno, in seno alla maggioranza Ursula, di contenere le destre populiste, euroscettiche, filo-putiniane, fiduciose di una vittoria di Trump è fallito. E non solo perché ha vinto Trump. O perché la guerra russo-ucraina volge ora in favore a Mosca. Oppure perché le destre-destre, pur essendo uscite ridimensionate dal voto, oggi sono capaci di sfoggiare un consenso più forte dei numeri reali. No, il piano si è sfaldato per mano dei suoi stessi ideatori.

Perché la maggioranza Ursula si è sfaldata

Dopo una convivenza di 5 anni, complessa ma comunque riuscita, tra popolari, socialisti, liberali e verdi, le rispettive visioni del mondo si sono dimostrate contrastanti. La complessa situazione economica del Continente ha messo in evidenza come le soluzioni fornite siano inconciliabili tra loro. La proposta popolare di risollevare le sorti dell’industria europea, anche a costo di rinunciare a notevoli quote del Green Deal, non è ricevibile dal mondo progressista-ambientalista. Altrettanto la politica internazionale c’ha messo del suo. Le eventuali trattative con Mosca e il mondo palestinese, avanzate dalle sinistre – e in parte sostenute dal commissario Ue agli Esteri, Josep Borrell – sono inaccettabili per chi ha fatto dell’alleanza con Ucraina e Israele un’agenda di politica estera europea.

I rancori personali

Tuttavia l’origine della grande confusione sotto i cieli d’Europa – per nulla eccellente, va detto – sta nelle manovre dei gruppi parlamentari e nei rancori personali, invece che in nobili questioni di princìpi e idee. La reciproca intolleranza personale tra von der Leyen e il leader del Ppe, Manfred Weber, è nota. Nel 2019 la corsa di Weber alla presidenza della Commissione venne impallinata da Macron. Da allora, von der Leyen ha governato scavalcando più volte l’Europarlamento (di cui Weber si considera il più abile manovratore). I popolari spagnoli, a loro volta, hanno tentato di tutto per bloccare la strada della socialista Teresa Ribera alla Commissione, con delega alla Transizione green. Con spregiudicatezza hanno sfruttato l’alluvione di Valencia tentando di farle ricadere addosso ogni responsabilità. Mission not accomplished! In Italia, Raffaele Fitto è stato oggetto più di un esame di inglese che del suo programma come commissario per la Coesione e le Riforme. Che abbia gestito bene o male il Pnrr da ministro ha importato a pochi, rispetto ai commenti degli innumerevoli membri del British Council.

La maggioranza Venezuela

È lecito allora chiedersi quanto queste e altre storie macbethiane, sebbene un po’ farsesche, siano andate nella direzione di chi fa della denigrazione della Ue un’attività politica. Per le destre-destre questi giochi sono pane quotidiano. I patrioti hanno saputo trarre vantaggio anche dalla facile disinvoltura del Ppe, che ha trattato con loro soprattutto in chiave anti-progressisti. La maggioranza Venezuela ne è la dimostrazione. A questa sequenza di colpi, il cordone sanitario non poteva che crollare.

Gli amici di Putin

È un problema che si riflette nei singoli paesi Ue. Lì le contraddizioni sono ancora più intrecciate. Perché allo scetticismo per l’Europa si aggiunge una crescente fascinazione per gli uomini forti. L’antisemitismo va in parallelo al sentimento anti-immigrazione. Mentre l’economia scricchiola ovunque. In Germania, economia in recessione tecnica, immigrazione e governo in crisi sono il mix perfetto per portare le lancette dell’orologio tedesco ai tempi della Repubblica di Weimar. In Romania le elezioni di domenica scorsa hanno mandato al ballottaggio del prossimo 8 dicembre il candidato indipendente, anti-sistema, anti-Nato e filo-russo, Călin Georgescu, che si scontrerà con la liberale Elena Lasconi. Nel paese più povero della Ue, che condivide 650 chilometri di confine con l’Ucraina, c’è il rischio che si insedi l’ennesimo amico di Putin. Dopo Fico in Slovenia e Orbán in Ungheria.

Le Pen già in campagna elettorale

Infine in Francia, Marine Le Pen ha detto di voler votare contro la manovra del governo Barnier. Con la nuova Legge di Bilancio, Parigi punta a risparmiare 60 miliardi di euro per le tasse più alte previste sull’elettricità e per il rinvio dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione. Misure che il Rassemblement National contesta, insieme alla mancata riduzione della spesa per la burocrazia e al mantenimento degli aiuti medici ai migranti. Tuttavia non è Hôtel de Matignon, bensì l’Eliseo, il vero baluardo contro cui si scaglia Le Pen. La sua campagna elettorale per le presidenziali è già iniziata. Finirà nel 2027. Chissà come sarà l’Europa allora.