Da quando in questo paese si discute e si polemizza di carcere, di sovraffollamento, di funzione rieducativa della pena, sentiamo una ben determinata parte politica bollare in modo sprezzante come “svuotacarceri” ogni proposta di potenziamento della esecuzione della pena alternativa alla detenzione penitenziaria. E quando si chiede a costoro quale diversa ricetta propongono per risolvere la vergogna del sovraffollamento, messo all’indice ripetutamente dalla CEDU, la risposta immancabile è: costruiremo nuove carceri.

Nuove carceri, le triplice complessità: tempi, risorse e idee

La baldanzosa spigliatezza con la quale viene seccamente opposta questa presunta soluzione del problema, ci dà la certezza che chi la pronuncia non abbia la minima idea della sua straordinaria complessità. E d’altro canto, ci sarà pure una ragione per la quale nessuno ha mai fatto seguire azioni concrete a quei propositi così orgogliosamente annunciati. La complessità è (almeno) triplice, perché riguarda i tempi, le risorse finanziarie necessarie e, non ultima, l’idea di carcere che si intende realizzare. Abbiamo perciò voluto dedicare questo numero di PQM al tentativo almeno di abbozzare i contorni di quella complessità, nella convinzione di dare il nostro piccolo contributo a sfatare luoghi comuni e a denudare la vuota ridondanza della retorica politica profusa a piene mani su questo drammatico problema.

Così apprendiamo che i tempi di edificazione di un nuovo istituto penitenziario sono biblici e i costi onerosissimi, nei quali vanno ovviamente compresi quelli dell’ulteriore personale (polizia penitenziaria, personale amministrativo, assistenti sociali, strutture sanitarie etc) che ogni nuovo carcere esigerebbe inesorabilmente, in un quadro generale che è già di drammatico sottorganico.

Il rebus architettura penitenziaria

Ma ancora più interessante, e forse meno presente a chi straparla di nuove carceri, è quello delle opzioni di architettura penitenziaria. Perché la verità è che l’edilizia penitenziaria non è politicamente neutra, come d’altronde è ovvio che sia. Si progetta un carcere a seconda di quale idea si abbia della funzione della pena intramuraria. Il progetto di un nuovo istituto penitenziario varia a seconda che si abbia una idea puramente espiativa della pena, la quale vuole che il carcere sia separazione drastica dalla vita sociale le cui ordinate regole il detenuto ha consapevolmente violato, ovvero una idea che privilegi il recupero sociale del detenuto, con l’obiettivo che egli possa essere messo in grado di non più delinquere a pena espiata. Ed è bene sapere che, con qualche rarissima eccezione, tutte le carceri italiane sono pensate ed organizzate in coerenza con la prima delle due idee.

Il nuovo commissario

Orbene, pochi giorni fa il Ministro Nordio ha nominato un Commissario per la edilizia penitenziaria, e questa è intanto una buona idea, non fosse altro che per ottenere qualche nozione più precisa su cosa intenda in concreto il Governo nel suo ripetuto e rivendicato obiettivo di “costruire nuove carceri”. Certo, l’arco temporale assegnato al Commissario (un anno) e la limitata struttura (cinque persone, a quanto pare) lascia intendere che la mission a lui assegnata sia di natura poco più che ricognitiva: ma è comunque un primo passo per fare chiarezza, per andare oltre uno slogan ad oggi vuoto e quasi irridente nei confronti di un dramma che è, senza alcun dubbio, una delle cose delle quali l’Italia non ha altro che da vergognarsi. E quindi il lettore di PQM avrà qualche utile e qualificata nozione in più per esprimere il suo giudizio. A noi non sembra poco, e comunque sappiamo accontentarci.

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