Cercasi consiglieri d’amministrazione, astenersi perditempo. Camera e Senato hanno annunciato che il 31 marzo pubblicano gli avvisi: per la Rai è l’ora di rinnovare i vertici. Un cambio di stagione necessario e non più rinviabile. Dei sette consiglieri Rai, sarà bene ricordarlo, quattro spettano al Parlamento, due al Tesoro e uno ai dipendenti. Ma è il Governo, la Presidenza del Consiglio – dopo la riforma Renzi del 2015 – a indicare Presidente e Ad, da scegliersi all’interno dei 7 componenti del Consiglio di amministrazione. Dal 31 marzo qualunque cittadino può far pervenire alle Camere la propria autocandidatura, anche se per prassi vengono valorizzati da sempre gli esperti di giornalismo televisivo dalla comprovata capacità gestionale. Ma il settimo membro del Cda, quello espresso dai dipendenti, come viene selezionato?

Vige anche qui una prassi: sono le sigle sindacali (sette, nel senso del numero) a indicare liste di candidati in rappresentanza degli editoriali, degli amministrativi e dei tecnici, da mettere in votazione attraverso una piattaforma telematica. Ma ci si può anche autocandidare senza sindacato, se si viene sostenuti da almeno 150 firmatari. Il sistema è già stato sperimentato nel 2018, quando ha visto vincere proprio un candidato indipendente, l’attuale consigliere Riccardo Laganà, che si è candidato al di fuori delle sigle sindacali ottenendo il più alto numero di voti online. E Laganà è dato per ricandidato sicuro, anche se gli umori dei quasi tredicimila dipendenti questa volta potrebbero andare verso un’altra direzione.

Ma la Rai perde tempo, non ha ancora reso nota la tempistica dell’iter per questa settima posizione del Cda. Solo un ritardo tecnico? C’è chi non ci crede e adombra un ragionamento più sottile. Le partite dei vertici Rai e quelle della politica sono strettamente intrecciate. L’accordo di maggioranza Rai è in questo momento quello del Conte I, M5S e centrodestra insieme, dove nel centrodestra le posizioni sono però passate via via dalle mani della Lega a quelle di Fratelli d’Italia, con Forza Italia marginalizzata. La presenza strategicamente distribuita degli uomini indicati, valorizzati e sponsorizzati dal partito di Giorgia Meloni è vistosamente squilibrata, rispetto ai rapporti di forza e rispetto all’attuale maggioranza di governo.

Tanto che mentre FdI richiede a gran voce la presidenza della Vigilanza, chi conta in Rai ha capito benissimo che si tratta di un diversivo: Meloni starebbe piuttosto puntando alla Presidenza di viale Mazzini, magari promuovendo il consigliere Giampaolo Rossi, che negli ultimi tempi ha costruito un asse personale con l’attuale Ad Fabrizio Salini, quasi a volersi preparare il terreno. Se la nomina del Cda slittasse ancora, la politica riuscirebbe a distribuire le sue carte per tempo; Meloni, vistasi bocciata in Vigilanza, metterebbe tutto il centrodestra a sostegno di Rossi. Ma appunto, serve tempo. E se le Camere hanno fissato la data del 31 marzo per l’avvio delle candidature, che devono rimanere aperte almeno un mese, per poi iniziare il processo di scrematura da concludersi entro giugno, solo gli attuali vertici Rai possono provare a frenare. Usigrai lo ha capito e vuole andare a tana.

«Ora tocca al cda della Rai: nella riunione di oggi deve approvare il regolamento per l’elezione del consigliere da parte dei dipendenti e allinearsi alla data indicata da Senato e Camera, il 31 marzo», ricorda in una nota l’esecutivo del sindacato dei giornalisti di viale Mazzini. «Preso atto che le forze politiche – nonostante la larghissima maggioranza parlamentare – abbiano deciso ancora una volta di non riformare la Rai, almeno – è l’auspicio dell’Usigrai – si tenga fede alla prescrizione di legge sui tempi del rinnovo del vertice. Ci auguriamo poi che alla sempreverde discussione su nomi e spartizioni, si affianchi – con almeno pari spazio – quella sui fini, sugli obiettivi, sulla missione del servizio pubblico, e quindi del prossimo vertice». Il governo Draghi potrebbe esercitare una moral suasion sull’attuale governance e accelerare il passaggio di testimone: l’anno prossimo il Parlamento dovrà sottoscrivere con la Rai il nuovo Contratto di servizio. E non è secondario il profilo dell’Ad voluto dal governo. Tre possono essere le strade. Quella di scegliere un profilo editoriale per il quale si fanno i nomi di Paolo Del Brocco e di Eleonora “Tinny” Andreatta, la figlia dell’economista Beniamino così caro alla formazione di Draghi, appena passata a Netflix e già rimpianta.

Oppure si potrebbe optare per un manager amministrativo, uno dei Draghy-boys che da esperto di conti potrebbe allineare Rai ai modelli competitivi sul mercato. Oppure ancora scegliere un profilo tecnologico, legato alla declinazione televisiva del Recovery. Un profilo che accompagni la trasformazione tecnologica associandola ai tre pilastri della digitalizzazione, della trasformazione sostenibile e dell’inclusione sociale, sapendo come mettere le mani sul dossier delicato della Rete unica. Un Colao, per intenderci. Una figura interna alla Rai con queste caratteristiche ci sarebbe: è Stefano Ciccotti, attuale capo delle tecnologie, che ha gestito l’arrivo in Borsa di RaiWay. Un manager difficile da bollinare e che avrebbe il vantaggio di essere interno. Ma gira anche il nome di Alberto Matassino, attuale direttore generale, che ha buoni rapporti con Enrico Letta ma ha un profilo più manageriale che editoriale.

Tutte partite intrecciate con la posizione di Mediaset, in cui l’interesse di Berlusconi e di un compagno di strada come Vivendi è altissimo; Vivendi è player fondamentale in Tim, e questo si riverbera sulla partita della Rete unica e sui diritti dello sport in tv, oggetto in questi giorni di una accesa dialettica in Lega Calcio. L’asta per i diritti vede duellare i soli Sky e Dazn. Quest’ultima è a sua volta partner di Tim, suo fornitore di servizi. E il cerchio si chiude, tornando agli interessi Rai di entrare in Rete unica. Il reticolato degli interessi in gioco fa capire che l’overview del Governo va esercitata presto e con forza.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.