Nuovo Csm, correnti a lavoro tra rischi e opportunità: la svolta saranno gli “operai” che ne faranno parte

Due mesi in più per una campagna elettorale “bendata”, resa cieca da una nuova legge sulla quale si stanno scervellando gli esperti delle correnti per scoprirne faglie e opportunità. Si sarebbe, come sempre, dovuto votare a luglio, ma questa volta le toghe andranno alle urne a settembre, a un passo dall’autunno. Il parlamento è arrivato alla riforma della legge per la composizione del Csm fuori tempo massimo e lo slittamento è stato inevitabile. Quale sarà il risultato delle urne è difficile a dirsi. Il sostanziale fallimento dello sciopero proclamato per il 16 maggio scorso dai piani alti dell’Anm, disegna uno scenario imprevisto, ma anche imprevedibile.

È chiaro che esiste un “corpaccione” maggioritario della magistratura italiana che rispetto al collasso del Sistema si è chiuso a riccio, diffidente e malmostoso. Andranno le toghe a votare con l’assillo degli obiettivi del Pnrr e con l’occhio rivolto alla riforma della prescrizione che ha scaricato, soprattutto sulle corti d’appello, il peso della nuova improcedibilità. Le altre norme della legge Cartabia, dalle nuove valutazioni di professionalità alle innovative fattispecie disciplinari, disegnano uno scenario di crescente controllo e responsabilità verso il quale non sarà facile adattarsi e in direzione del quale, è inutile negarlo, man mano che le disposizioni verranno implementate e applicate tenderanno a crescere insofferenza e diffidenza. La legge 71 del 2022 assegna ai capi degli uffici un ruolo di pressante, a tratti asfissiante, controllo sulla produttività dei magistrati e sugli indici di smaltimento dei carichi di lavoro. Viene in ballo, oggi, non solo la loro carriera con l’occhio rivolto alle performance raggiunte, ma anche una loro eventuale responsabilità in sede disciplinare. Una cosa mai vista, in effetti. La spinta verso il basso, cioè verso i singoli giudici, rischia di divenire insopportabile e tutto questo non potrà non avere riflessi sulle opzioni elettorali che si eserciteranno a settembre. Il rischio latente è che cresca esponenzialmente la domanda di protezione verso le correnti e verso i loro candidati, chiamati a rassicurare la magistratura italiana sulla possibilità di dispensare una certa flessibilità nell’approccio verso i nuovi protocolli organizzativi e le nuove fattispecie disciplinare, a occhio e croce di rara severità sul versante (spesso trascurato) dell’efficienza e della produttività.

È un pericolo che, questa volta, si gioca lungo un crinale in parte sconosciuto. Non si tratta tanto di mettere in campo nomi autorevoli e toghe prestigiose e acclamate dai media, ma di trovare operai che si occupino della messe rappresentata dall’insieme della magistratura italiana che, con grande difficoltà e sacrificio, tenta di assicurare una giustizia almeno soddisfacente. In fondo è l’unica soluzione possibile rispetto al rischio di innescare ulteriori deviazioni clientelari con ras delle correnti, professionisti dell’associazionismo, che una volta eletti, dall’alto, dispensino attenzioni e comprensioni ai propri elettori. Di fatto un risultato che potrebbe tanto avvicinarsi a quel vituperato sorteggio che, a detta di non pochi, avrebbe dovuto garantire l’effettivo smantellamento del Sistema e un governo inter pares delle toghe. La legge Cartabia, a scrutarla con la dovuta attenzione e fermo restando il rischio di sabotaggi (di certo non mancati per precedenti riforme della giustizia), squaderna nella sostanza e nella forma un modello “inatteso” di magistratura per l’Italia. Il fil rouge che lo tiene insieme, soprattutto dopo le modifiche parlamentari, è la convinzione che occorra imporre alle toghe obiettivi serrati e risultati misurabili in base ai quali premiare o bocciare. L’epoca del lassaire faire è giunto, probabilmente, al capolinea.

La giustizia è una cosa troppo seria, si sarà pensato, per lasciarla in mano ai soli magistrati ormai. Il Pnrr o i vincoli all’obbligatorietà dell’azione penale sono stati solo una delle vie per far breccia nella cittadella fortificata della magistratura, e invero l’astuzia della politica ha ben pensato che sia molto più vantaggioso colpirla o minacciare di colpirla nel suo fianco più esposto e vulnerabile: quello dell’ambizione carrieristica. C’è latente il rischio dei kapò. Il pericolo che ci si affidi proprio all’ambizione di pochi – o di non tanti – per tenere sotto scacco la maggioranza delle toghe e, il tutto, con strumenti particolarmente performanti e minacciosi: le nuove valutazioni di professionalità e i nuovi illeciti disciplinari; tra cui si staglia quello che punisce la mancata collaborazione del giudice al raggiungimento degli obiettivi di produttività.
In questo corto circuito è evidente che la scelta di settembre dei nuovi consiglieri (sulla componente parlamentare torneremo in un’altra occasione) si presenta come delicata e, forse, decisiva.

Un modello di organizzazione – e, si sia chiari, anche di giurisdizione – vacilla sotto i colpi di riforme questa volta particolarmente penetranti e, per molti profili, anche sofisticate dal punto di vista dell’ingegneria comportamentale che le ispira. Qualcuno ha parlato di pannicelli caldi e di novità innocue, se non inutili. Dipenderà molto dal prossimo Csm; da quanti operai, da quanti potenziali “sorteggiabili” sarà composto. Fermo restando che le diversità culturali tra le toghe sono imponenti e che le correnti rappresentano, al pari dei partiti, un male necessario della democrazia, non potendosi concepire un modo diverso per dare paritaria rappresentanza alle idee e alle convinzioni, una certa laicità del fare non può guastare. Se, come pare, è destinato a cambiare l’assetto ideologico, sociale e morale della magistratura italiana, con nuove élite autoreferenziali e meritocratiche in parte già gemmate tra le toghe; se davvero alla distinzione dei magistrati «fra loro soltanto per diversità di funzioni» (articolo 107 Costituzione) si sostituiranno pesantemente modelli verticistici e verticali, allora anche l’associazionismo della magistratura è destinato a una lunga agonia. La loggia Ungheria non esisterà probabilmente, ma le pulsioni che avrebbe dovuto governare, quelle, cercano sempre templi ed adepti e le correnti in quel caso non contano molto.