Il numero di occupati aumenta e già questa è una buona notizia, il fatto poi che per la prima volta, dopo molti decenni, anche il Sud fa la sua parte lo è ancora di più. Chi vuole leggere in negativo i recenti dati dell’Istat, che registra il massimo storico di numero di occupati raggiunti a novembre in Italia con circa 24 milioni, si ferma al dato anagrafico. Non v’è dubbio che parte di questo andamento positivo è dovuto al doppio effetto di nuovi assunti e alla permanenza al lavoro di chi si affaccia alle dinamiche delle varie finestre previdenziali che rendendo più rigide le forme di uscita anticipata. Così come è sempre più determinante l’andamento demografico legato all’invecchiamento progressivo del mercato del lavoro. Ma questa ormai è una tendenza che investe grande parte dei paesi Europei, ed in particolare quelli di più ‘antico’ tessuto industriale.

Così come bisogna considerare, nel calcolo di questo buon risultato, anche le politiche del lavoro introdotte in questo primo anno di governo e la tendenza, confermata anche dai dati Inps, delle imprese che preferiscono stabilizzare i lavoratori precari – scelta strettamente collegata alla difficoltà di trovare sul mercato nuova manodopera – soprattutto in alcuni settori. Questi dati positivi sono senz’altro il frutto di misure più strettamente legate al mercato del lavoro ma anche agli investimenti aggiuntivi, in grande parte di fonte Pnrr. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta l’ancora di salvezza di questo ciclo economico, motore di crescita in particolare per il Sud e di modernizzazione del Paese, opportunamente coordinato con le riforme richieste dall’Europa. Quindi è importante realizzarlo nei tempi previsti, garantendo standard adeguati. L’accelerazione imposta dal ministro Raffaelle Fitto va in questa direzione e i risultati si iniziano a vedere. Ma tornando ai dati sull’occupazione, sarà necessario per mantenere, e se possibile aumentare, questo trend intervenire sui fattori negativi che sono presenti in maggiore misura nel Mezzogiorno: deficit infrastrutturale, scarsa qualità dei servizi pubblici, elevata disoccupazione soprattutto giovanile, parcellizzazione dell’apparato industriale, bassa produttività, riduzione drastica del tasso di natalità e burocrazia poco efficiente. Eppure le imprese, anche quelle del Sud, si sono dimostrate comunque in grado di aumentare fatturato e occupazione.

Il Mezzogiorno non è rimasto immobile e dà forti segnali di cambiamento che vanno raccolti e sostenuti. Lo scenario offre nuove opportunità di consolidamento, le imprese stanno aumentando di numero e si ingrandiscono soprattutto nella logica della rete, in particolare nel settore dell’innovazione. In poche parole siamo difronte a un tessuto industriale che si consolida e si modernizza anche attraverso una più spiccata capacità di attrazione degli investimenti. Dietro i dati positivi sugli occupati ci sono queste nuove dinamiche industriali cosi come le sfide competitive legate alle trasformazioni climatiche, digitali, energetiche ed ambientali, che per la prima volta vedono perfettamente allineati sulla linea di partenza il Nord e Sud del Paese. L’avvio delle nuove politiche di sostegno al reddito con il nuovo strumento del Rei, che sostituisce quello di cittadinanza, di fatto libera risorse per oltre tre miliardi che dovranno rimanere, almeno in gran parte, nei territori di provenienza e utilizzati in politiche attive e di orientamento per accompagnare la nuova domanda di lavori.

Un nuovo approccio alle politiche di sviluppi e di coesione territoriale indirizzato alle priorità ancorate alla produttività e ai risultati. Bisognerà per questo mirare le scelte di budget sui premi di produzione e a quei fattori che misurano l’efficienza e la qualità dell’impresa. Si aumentano le retribuzioni e si migliorano complessivamente l’ambiente lavorativo e la performance aziendale. Le varie misure messe in campo con industria 4.0 e con transizione 5.0 dovranno avere un orizzonte adeguato a questa fase di spinta con una politica di incentivi, a partire dalla fiscalità di vantaggio, sempre più selettiva e efficace. In particolare al Sud – che dobbiamo sempre ricordare dal 2011 a oggi ha pagato molto di più le politiche di risanamento finanziario – il credito d’imposta dovrà essere sempre più ‘plurale’ e mirato ai settori strategici, dalle energie rinnovabili alle filiere industriali connesse ai distretti e hub della ricerca e dell’innovazione. Una politica di incentivi che non solo determini crescita ma anche sviluppo di qualità e più complessivamente una politica industriale che sappia approfittare di questa fase straordinaria di ingenti trasferimenti di risorse economiche, per garantire un solido e stretto rapporto tra programmazione pubblica e protagonismo del privato. Rimane sullo sfondo il tema, non ancora risolto, del rafforzamento degli strumenti di governance. Si è iniziato con le varie Zes, al Sud accorpate ad una, ma ci si è fermati qui. Gli accordi di filiera, i distretti e hub, le procedure negoziali, i Contratti di Sviluppo, sono procedimenti ancora insufficienti a rispondere alla richiesta di solidità finanziaria e strategica, così come nelle migliori esperienze europee e dell’economia occidentale.

Stefano Caldoro

Autore