“Odiavo mio padre, lo respingevo perché mi aveva abbandonato”: la storia di Marcell Jacobs, l’uomo più veloce del mondo

Lamont Marcell Jacobs, of Italy, celebrates after winning the final of the men's 100-meters at the 2020 Summer Olympics, Sunday, Aug. 1, 2021, in Tokyo. (AP Photo/Matthias Schrader)

Quando era bambino e la maestra gli chiedeva di disegnare la sua famiglia, Marcell Jacobs tracciava con la matita solo la madre, e ci soffriva. L’uomo più veloce del mondo ha costruito il suo successo sulla pista, dai muscoli, e sulla testa, a ricostruire quel rapporto con il padre che quando aveva solo pochi mesi lo lasciò a El Paso, in Texas, per andare in Corea con l’Us Army. “Chi è tuo papà, mi chiedevano gli amici – ha raccontato Jacobs – non esiste, rispondevo, so a malapena che porto il suo nome. Per anni ho alzato un muro. E quando mio padre provava a contattarmi, me ne fregavo”.

Jacobs, 26 anni, ha fatto la storia. Niente retorica: primo finalista italiano nei 100 metri alle Olimpiadi e primo Oro. Prima aveva conquistato l’Oro europeo indoor, 9”95 a Savona. Figlio di Lamont, ex militare americano alla base di Vicenza, e di mamma Viviana. È cresciuto a Desenzano del Garda da quando aveva un anno e mezzo. Con la madre. Da piccolo voleva diventare archeologo o astronauta. Prima dell’atletica il calcio e il basket. Il culto di Usain Bolt e l’ammirazione per Pietro Mennea. “Un punto di partenza. Sarebbe impossibile accontentarsi: il vero sogno è conquistare l’oro. Lavorerò finché ho fiato in corpo per questo obiettivo”, aveva detto prima della semifinale e della finale a Il Corriere della Sera.

Senza fare i conti con il suo passato non ci sarebbe mai riuscito. Era considerato uno sprinter che non riusciva a scaricare tutti i suoi cavalli sulla pista. Ci è riuscito grazie alla sua mental coach: “Nicoletta Romanazzi, che è entrata nel mio team insieme al mio storico allenatore Paolo Camossi. Con lei ho accettato di lavorare in profondità sulle mie paure e sui miei fantasmi. Non è stato facile: c’è una parte intima che non vogliamo mostrare nemmeno a noi stessi. Però imparo in fretta. Il lavoro psicologico è iniziato a settembre dell’anno scorso e in sei mesi ho ottenuto un oro europeo indoor, il 9”95 di Savona, i tre record italiani ai Giochi e l’oro olimpico in 9”80”.

Per anni aveva alzato un muro, quando il padre lo contattava lo respingeva. Lo odiava per averlo abbandonato. La riconciliazione con l’ex militare lo ha aiutato: “Non è ancora tutto risolto però almeno adesso ci parliamo: il traduttore di Google mi dà una mano con l’inglese …”. Lo ha spiegato lui stesso a fine corsa: “È incredibile la potenza dell’energia che si muove quando abbatti un muro. Lo odiavo per essere scomparso, ho ribaltato la prospettiva: mi ha dato la vita, muscoli pazzeschi, la velocità. L’ho giudicato senza sapere nulla di lui. Prima se una gara non andava bene davo la colpa agli altri, alla sfortuna, al meteo. Adesso ho capito che i risultati dipendono solo dal lavoro e dall’impegno”.

Un uomo nuovo. Già un mito dello sport italiano. Ha tre figli. L’anno prossimo sposerà la compagna Nicole Dazzi, dalla quale ha avuto due bambini. È passato da essere fenomeno inespresso a monumento dello sport italiano. La sua vita è cambiata un’altra volta, non sarà più la stessa, questa volta ha scelto lui: se l’è cambiata da solo.