Meno di un caffè
Ogni detenuto costa 154 euro al giorno, per rieducarli ‘investiti’ 35 cent…
«Un recente studio della Bocconi ha messo in evidenza che ogni detenuto costa alla comunità 154 euro al giorno, di cui solo sei per il mantenimento del detenuto, appena 35 centesimi per la sua rieducazione, prevista dalla Costituzione italiana. I soldi degli italiani che lo Stato spende non mirano all’attuazione di uno principio costituzionale. Non rieducare significa incrementare la recidiva che in Italia, come sottolinea lo stesso studio, è del 68%, dato che scende al 19% quando si applicano misure alternative come la semilibertà e le forme di inserimento lavorativo». Queste sono le dichiarazioni che il sindaco di Firenze Dario Nardella ha rilasciato al Riformista l’altro giorno, commentando la drammatica condizione del carcere di Sollicciano. Abbiamo provato a fare i conti per capire come si traduce questo nella realtà penitenziaria della nostra regione. A Poggioreale, per esempio, dove sono reclusi circa 2mila detenuti, considerando i parametri dello studio della Bocconi, si calcolano 700 euro spesi al giorno per la rieducazione di oltre 2mila detenuti a fronte di un totale di 308mila euro spesi ogni giorno per la popolazione carceraria, 12mila dei quali spesi per il mantenimento dei reclusi e il resto destinato a sostenere tutta la macchina amministrativa e strutturale del sistema carcere.
Ma come si può pensare, a conti fatti, di risollevare la pena alla funzione rieducativa che le attribuisce la Costituzione destinando risorse così limitate alla rieducazione? E come viene impiegato il resto dei soldi che lo Stato destina al mondo penitenziario? Non certo per rimodernare le carceri, non certo per adeguare le strutture a standard più umani di reclusione. La rieducazione dovrebbe essere il nervo centrale della reclusione, il faro dei percorsi attivati in carcere per chi deve scontare una condanna. Scoprire che è l’ultima voce su cui investire lascia pensare. Da sempre si discute dell’importanza secondaria che viene riconosciuta al dibattito sul carcere e del ruolo marginale in cui è relegato il mondo penitenziario sul piano politico e sociale. Come se fosse un mondo a parte.
Come Nardella ha fatto per Sollicciano, ci aspettiamo che anche il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, trovi il tempo per sollevare una voce sul dramma delle nostre carceri. Del resto Napoli ospita due grandi penitenziari, Secondigliano e Poggioreale, che è il più grande d’Italia e sorge nel cuore della città. Quanti progetti, quante dichiarazioni, quanti futuri sono stati immaginati negli anni. Nel 2018, con la mini-riforma, ci si illuse che qualcosa fosse sul punto di cambiare. Gli Stati gnerali dell’esecuzione penale promossi dal ministro Orlando diedero la sensazione di un cambiamento finalmente possibile per poi piombare nella triste staticità di sempre. Dal 2020 la pandemia ha imposto nuove rotte, nuovi criteri di gestione. «Il sistema penitenziario del futuro non potrà tornare a essere quello del passato come se la pandemia fosse una nuvola passeggera» è stato sottolineato nella recente conferenza dei garanti territoriali per dare un contributo ai lavori della Commissione ministeriale. Sì, perché al Ministero della Giustizia è al lavoro da un paio di mesi la Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario che ha il compito di studiare le soluzioni migliori per il carcere del futuro. Ci riuscirà? Come al solito ci si ritrova a parlare della necessità di interventi di sistema. «Tra le priorità di un nuovo sistema penitenziario vi è la necessità di tornare a un’idea di diritto penale minimo, liberale e garantista, e del carcere come extrema ratio – hanno sostenuto i garanti -. Questo significa non solo che andranno sostenuti i progetti di misure alternative, ma anche quei progetti di depenalizzazione di condotte con minima o nulla offensività, a partire da quelli in materia di droghe, come previsto dala proposta di legge Magi e altri attualmente all’esame della Commissione giustizia della Camera».
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