Era sergente maggiore e medico della Guardia nazionale ucraina
Olena Kushnir, le ultime parole della combattente uccisa a Mariupol: “Non compatitemi, faccio il mio dovere”
Era una delle cento combattenti rimaste nell’inferno di Mariupol, la città ‘martire’ dell’Ucraina. Olena Kushnir, sergente maggiore e medico della Guardia nazionale ucraina, è morta nel giorno di Pasqua.
La notizia del suo decesso, diffusa su Telegram, è stata poi confermata su Twitter da Oleksandra Matviichuk, avvocato per i diritti umani. “Olena Kusnir, un medico, è morta a Mariupol. All’inizio di marzo aveva registrato un video in cui chiedeva al mondo di non girare film e scrivere libri su questa lotta eroica in futuro, ma piuttosto di aiutare i civili a sopravvivere oggi. Non ha ricevuto alcun aiuto” si legge sul tweet.
“Non compatitemi, faccio il mio dovere”
La sergente Olena Kushnir aveva scelto di continuare a combattere nella città assediata dalle forze russe, insieme ad altre donne coraggiose, nonostante la situazione fosse diventata sempre più difficile. “Sono un pugno di cento soldatesse rimaste a Mariupol senza acqua, cibo e la garanzia di un’igiene di base e sopravvivenza“, ormai negata a tutti in città, ha sottolineato la la giornalista ucraina Tetyana Danylenko secondo quanto riportato dall’Ansa. Molte di loro sono anche medici e quindi curano i feriti, soldati e civili, operando in condizioni a dir poco disastrose, spesso con figli piccoli al seguito.
Anche Olena ha combattuto e medicato feriti fino alla fine. Aveva messo in salvo suo figlio tramite uno dei pochissimi corridoi umanitari di Mariupol, quando la battaglia era diventata troppo feroce, ma era tornata indietro. Aveva già perso suo marito nei primi giorni dell’invasione russa, eppure diceva a un’amica, qualche giorno prima di morire: “Non compatitemi, sono un medico, una combattente, sono ucraina, faccio il mio dovere”.
In un video, girato in un rifugio segreto e diffuso dai media locali Olena Kushnir, indossando la divisa militare, chiedeva con insistenza che fosse permessa l’evacuazione di Mariupol, “dando l’opportunità di portare medicine alla popolazione, allontanare i tanti feriti e permettere una degna sepoltura ai morti“. Descriveva la città rasa al suolo e la catastrofe umanitaria di chi non poteva più contare su cibo, acqua, alcuna possibilità di sostentamento. “A Mariupol ci sono ancora persone, sono nelle cantine, sono sotto terra, hanno bisogno di tutto. Se non volete salvare Mariupol, salvate i suoi cittadini vi prego!!! Non vogliamo essere eroi e martiri, non potrete dire che non sapevate perché sapevate e potevate agire“, uno dei suoi accorati appelli al mondo.
La vita prima della guerra
Scorrere il profilo Facebook del soldato Kushnir significa comprendere come la sua esistenza, così come quella di ogni cittadino ucraino, sia cambiata improvvisamente in pochi istanti. Le foto in posa felice, le istantanee scattate con le amiche, i viaggi e i post spensierati insieme al figlio e al marito, le canzoni condivise da YouTube hanno lasciato il posto, dal 24 febbraio in poi, a immagini di disperazione e distruzione.
“Sono all’inferno ma va bene così'”, scriveva i primi di marzo. L’ultimo post del sergente maggiore Olena Kushnir è datato 10 aprile. “La mia città è morta. Sempre e per sempre”. A Mariupol, distrutta dai soldati russi, ha purtroppo trovato la morte anche lei.
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