Pentiti usa e getta
Omicidio Borsellino: i pm dietro al depistaggio
Il falso pentimento di Vincenzo Scarantino – che permise il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio nella quale fu ucciso Borsellino, e seppellì definitivamente la verità su quell’azione clamorosa della mafia – fu guidato probabilmente, passo passo, non dalla mafia ma da alcuni magistrati.
Questi magistrati – la cui colpevolezza naturalmente è tutta da provare – sono ancora in carica, con funzioni dirigenti importanti. Indagano, giudicano, esercitano il loro potere. Fino ad oggi questi magistrati avevano giurato sempre sulla propria buona fede. Dicevano: “Abbiamo creduto alle false ricostruzioni del giovane Scarantino perché ci sembrava attendibile”.
Ora, al processo Borsellino quater che si svolge a Caltanissetta contro alcuni poliziotti imputati per il depistaggio, sono state depositati i nastri di alcune intercettazioni che erano rimasti sepolti per 25 anni. Venticinque anni? Per venticinque anni la magistratura non sapeva di avere le intercettazioni di Scarantino? Già. Erano in un armadio…
LEGGI ANCHE – Scarantino: ecco la vera trattativa Stato-Mafia
È una novità sconvolgente che getta un’ombra, non dico sull’onestà ma sicuramente sull’attendibilità di gran parte della magistratura palermitana di quegli anni. Ma getta un’ombra lunga lunga anche su altre due cose: la prima è l’attendibilità, in genere, dei pentiti di mafia (sui quali si basano decine di processi); la seconda è l’impianto del processo famoso sulla presunta trattativa stato-mafia. Questo impianto non solo traballa: crolla. Tra qualche riga proviamo a spiegare perché.
Prima occupiamoci di queste intercettazioni. Sono telefonate tra Vincenzo Scarantino e alcuni magistrati. Che Scarantino telefonasse ai magistrati già si sapeva, sul suo taccuino c’erano i numeri telefonici di diversi Pm, tra i quali persino l’allora giovane Nino Di Matteo. Che è uno dei magistrati che lo interrogò e gli credette. In uno dei nastri depositati a Caltanissetta si sentono queste parole del sostituto procuratore Carmelo Petralia: “Scarantino, ci dobbiamo tenere molto forti perché siamo alla vigilia della deposizione”.
In questa stessa telefonata Petralia annuncia a Scarantino una visita insieme al procuratore Giovanni Tinebra e al capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera (oggi, entrambi deceduti). “Ci sarà tutto quanto lo staff delle persone che lei conosce, potrà parlare di tutti i suoi problemi così li affrontiamo in modo completo e vediamo di trovare una soluzione. Contemporaneamente iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento”. Proprio così: “iniziamo la preparazione alla deposizione”.
LEGGI ANCHE – Nuova sentenza Borsellino: confermato il depistaggio
Queste telefonate sono dell’8 maggio del 1995. Dalle parole pronunciate da Petralia risulta chiarissimo che la testimonianza falsa di Scarantino, all’origine del depistaggio, non fu affatto spontanea ma fu preparata da magistrati e forze di polizia. Il falso pentito ricevette la visita degli investigatori l’11 maggio e il 25 maggio andò in aula e dette inizio all’operazione.
Cosa comportò quell’operazione? Impedì che si indagasse davvero sulla strage. E che ci si avvicinasse alla verità. Ormai si può solo stabilire chi e perché depistò, ma è chiaro che la verità sui veri esecutori e mandanti è stata seppellita dal tempo. Diciamo pure che l’operazione depistaggio è perfettamente riuscita.
Oggi Carmelo Petralia, autore di quella telefonata, è Procuratore aggiunto a Catania. Cioè è il numero due della magistratura catanese. Recentemente è stato indagato dalla procura di Messina, ma al momento resta in carica. Anche perché l’etica pubblica – quella costruita in questi anni da magistrati e giornali – stabilisce che se un assessore viene sospettato di traffico di influenze deve dimettersi immediatamente per evitare un conflitto tra il suo potere e le indagini; ma se un magistrato viene sospettato di calunnia (è questa l’ipotesi di reato) e del più clamoroso depistaggio della storia della Repubblica (così è stato definito da un Pm) può tranquillamente continuare a esercitare il suo potere e a indagare e a giudicare i cittadini.
LEGGI ANCHE – Di Matteo, il diritto per un ex Pm di calunniare
Cosa volete che vi dica: le caste – le vere caste – sono una cosa seria, mica un giochetto per deputati…
Insieme a Petralia la procura di Messina ha indagato anche Anna Maria Palma, che oggi fa l’avvocato generale a Palermo. Anche lei indagata per l’ipotesi di reato di calunnia, e anche lei, a quanto si sa, resta in carica.
Dicevamo che queste novità sono un colpo mortale al teorema della trattativa Stato-mafia e dunque al famoso processo di Palermo, del quale è in corso l’appello. Perché? Perché il depistaggio è servito a impedire che si indagasse davvero sulle cause dell’attentato a Borsellino. E oggi risulta abbastanza chiaro che Borsellino fu ucciso perché aveva deciso di lavorare sul dossier Mafia-Appalti preparato dal colonnello Mori e dai suoi uomini su incarico di Giovanni Falcone (quando era ancora magistrato a Palermo).
Il depistaggio servì proprio a seppellire quel dossier, e poi venne fuori la tesi balorda della trattativa Stato-mafia, e lo stesso Mori (l’uomo che ha catturato Riina e che ha inferto colpi mortali a Cosa Nostra) è finito imputato, maciullato della macchina della malagiustizia.
© Riproduzione riservata