Cercasi facili consensi
Omicidio Cecchettin, due procuratori e due mondi inconciliabili
L’orrendo omicidio della povera Giulia Cecchettin ci sgomenta, e suscita, come è ovvio che sia, dolore, rabbia, indignazione. È il segno dei tempi che anche una vicenda dolorosa come questa venga da subito inghiottita da polemiche spesso scomposte, e masticata cinicamente da speculazioni politiche francamente desolanti.
Ma ciò che a mio avviso merita una riflessione seria e pacata sono due dichiarazioni pubbliche rese da due magistrati: il Procuratore capo di Venezia, dott. Bruno Cherchi, ed il Procuratore capo di un’altra città, che evito di nominare perché non mi interessa personalizzare le polemiche, ma semplicemente riflettere su due mondi, due orizzonti culturali, due modi inconciliabili di intendere il ruolo di magistrato.
Il Procuratore di Venezia pronuncia parole che aprono il cuore alla speranza che sia possibile, anche di fronte alla più che comprensibile indignazione popolare, tenere ferma la barra della civiltà giuridica che è scritta nei nostri codici e nella nostra Costituzione: «Non c’è un clima positivo, in effetti. Capisco l’attenzione suscitata da un caso così grave…Però…direi che a questo punto le indagini debbano proseguire con la calma e la serenità richieste da ogni indagine. Vi chiedo di lasciare che le indagini proseguano, che ci sia un momento di decantazione. Dobbiamo garantire, come prevede il codice di procedura penale, i diritti all’indagato, la serenità alle parti. E soprattutto l’indagato non si deve sentire condannato prima che i fatti vengano accertati nei modi e nei tempi previsti dalla Costituzione. È un fatto di civiltà a cui tutti dovremmo riferirci».
Il suo collega, a capo di una Procura non meno importante, ha invece ritenuto di scrivere al Fatto Quotidiano, con queste parole: «La mano del presunto omicida gronda del sangue di Giulia (…) eppure dovremmo (Ndr: “dovremmo”, non “dovremo”) mitigare i giudizi in ossequio alla presunzione di innocenza, elevata da regola del processo penale a divieto legale di colpevolizzare sui media (…) Assisteremo ai tipici tentativi di confinare…un crimine orribile nel recinto della pazzia (…). Alla fine, arriverà la retorica della giustizia riparativa, la nuova frontiera della millenaria tradizione del perdono applicata al processo…incontro innaturale tra vittime e carnefici».
Due mondi inconciliabili rappresentati dalla medesima funzione magistratuale. Gli applausi a scena aperta, statene certi, saranno tutti per il secondo. Il primo sarà freddamente ignorato, e chi scrive sarà svillaneggiato. Ma a chi scrive piace sapere che ci siano, nel nostro Paese, magistrati ancora convinti che il faro di chi amministra la giustizia sia, anche quando rabbia e indignazione travolgono ogni lume della ragione, la Costituzione dei nostri padri, non il tumulto feroce dei social, e l’inebriante compiacimento del suo facile consenso.
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