Minneapolis: non si ferma la protesta
Omicidio George Floyd, arrestato il poliziotto: “I due hanno lavorato insieme”
Dopo tre lunghe notti di proteste, saccheggi e incendi a Minneapolis, e mentre la rabbia non smette di contagiare altre città, le autorità del Minnesota hanno arrestato il poliziotto bianco che ha immobilizzato a terra l’afroamericano disarmato George Floyd, morto lunedì durante l’arresto.
L’annuncio che Derek Chauvin è stato accusato formalmente di omicidio colposo è arrivato mentre la tensione è altissima, alimentata dai video che mostrano il 46enne a terra, che prima chiede aiuto dicendo di non riuscire a respirare, poi mentre i minuti passano smette di parlare e muoversi. Nei suoi 19 anni al dipartimento, il poliziotto aveva ricevuto almeno una decina di denunce per il suo comportamento, senza mai un provvedimento disciplinare se non una lettera di richiamo
“SI CONOSCEVANO” – Secondo quanto riferisce Andrea Jenkins, vicepresidente del consiglio comunale della città, George Floyd e Derek Chauvin si conoscevano ed hanno lavorato insieme per molto tempo come addetti alla sicurezza in un locale. Una conferma – secondo alcuni media locali – è arrivata anche dal proprietario dell’attività.
Sequenze drammatiche che hanno riacceso la rabbia della popolazione afroamericana contro il razzismo istituzionale, eco del movimento Black Lives Matter nato dopo che nel 2012 il 17enne disarmato Trayvon Martin fu ucciso in Florida da un vigilante.
Non è la prima volta che le città Usa vengono messe a ferro e fuoco a seguito di uccisioni del genere: tra i recenti casi più eclatanti le rivolte di Ferguson del 2014, dopo che la polizia uccise il 18enne disarmato Michael Brown.
LA GUERRIGLIA – Per tre notti, centinaia di persone sono scese nelle strade di Minneapolis. In gran parte pacifici, con cartelli con scritte come ‘Non riesco a respirare’ e ‘Smettete di ucciderci’. In parte infuriati e pronti a distruggere vetrine e saccheggiare negozi, incendiare auto ed edifici. Giovedì notte hanno dato fuoco a un commissariato evacuato dalla polizia, in un enorme rogo. Venerdì l’indignazione si è sollevata anche per l’arresto di un giornalista afroispanico di Cnn e della sua troupe durante una diretta, poi rilasciati con le scuse delle autorità. Decine le città teatro di scontri e arresti: tra loro New York City, Phoenix, Denver, Colombus, Los Angeles, Memphis e Louisville, dove sette persone sono state ferite da spari nelle proteste per un’altra persona afroamericana, Breonna Tylor, uccisa a marzo da agenti che abbatterono la porta di casa sua.
Chauvin, così come tre poliziotti che erano con lui, è stato licenziato in settimana, mentre la famiglia di Floyd chiede che i quattro siano processati per omicidio. Intanto, poco prima dell’arresto, il governatore Tim Walz aveva ammesso “le vergognose carenze” nella risposta alle proteste e promesso di occuparsene. La Guardia nazionale è arrivata con 500 agenti, dispiegati nell’area metropolitana per evitare nuove escalation e saccheggi. Prima il presidente Donald Trump aveva minacciato di agire, bollando i dimostranti come “delinquenti” e twittando una retorica incendiaria (cui non è nuovo) che ha spinto Twitter ad applicare un avviso sul post per “celebrazione della violenza”. Decisione che non è piaciuta al repubblicano, che già si era infuriato per un ‘fact check’ su un altro suo tweet, firmato poi un ordine esecutivo per ridurre le protezioni sui contenuti ai social network.
Sul caso hanno preso posizione celebrità e politici, tra gli ultimi anche l’ex presidente Barack Obama (che era in carica nel periodo delle rivolte di Ferguson e di vari altri casi analoghi). “Per milioni di americani essere trattati in modo diverso sulla base della razza è tragicamente, dolorosamente, insopportabilmente ‘normale'” e “ciò non dovrebbe esserlo nell’America del 2020”, ha affermato, “spetta a tutti noi, a prescindere da razza o situazione (…) lavorare insieme per creare una ‘nuova normalità'”.
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