Omicidio Malcom X, non erano i killer: 36 milioni per ingiusta detenzione a due innocenti

Muhammad Aziz, allora conosciuto come Norman 3X Butler, aveva 27 anni quando fu arrestato per l’assassinio di Malcolm X, il principale leader radicale nero di allora, nel 1965. Ora ne ha 84 e riceverà 36 milioni di dollari, 26 dalla città e 10 dallo Stato di New York, come risarcimento per aver passato 20 anni in galera innocente e 30 in libertà sulla parola ma anche, come dichiara il Law Department di New York City, “per aver lo stigma dovuto alla falsa accusa di aver assassinato una personalità iconica”. Dividerà il risarcimento con la famiglia di Khalil Islam, all’epoca dell’omicidio Thomas 15X Johnson, morto a 74 anni nel 2009, arrestato e ingiustamente condannato come lui, accusato di aver sparato il colpo fatale contro Malcolm.

L’innocenza dei due era già stata sancita nel novembre scorso, dopo un’inchiesta durata 20 mesi del procuratore generale di New York Cyrus Vance jr. Il caso era stato riaperto grazie all’inchiesta in sei puntate di Netflix Who Killed Malcolm X? e alla nuova biografia del leader nero The Dead Are Arising: the Life of Malcolm X, di Les Payne ma completata dopo la scomparsa dell’autore dalla figlia Tamara, uscita nel 2020 e premiata con National Book Award e col Pulitzer. La serie Netflix dimostrava come l’Fbi avesse volutamente trascurato prove a discarico dei due imputati e fosse sospetta di aver condizionato le testimonianze che portarono alla loro condanna.

Malcolm fu ucciso il 21 febbraio 1965, mentre nell’Audubon Ballroom di Harlem presentava la sua nuova formazione politica la Organization of Afro-American Unity. Qualcuno, in mezzo al pubblico, iniziò a strillare che lo stavano borseggiando. Approfittando della confusione un uomo aprì il fuoco sul Malcolm, altri due salirono sul palco e gli spararono a loro volta. Il bersaglio fu colpito 21 volte e morì poco dopo in ospedale. Uno degli attentatori, Talmadge Hayer, conosciuto come Thomas Hagan e oggi Mujahid Halim, fu immobilizzato dalla folla presente nella sala, picchiato e poi consegnato alla polizia. Era un membro del Frutto dell’Islam, il servizio d’ordine della Nation of Islam, l’organizzazione nota anche come “Black Muslims” e guidata da Elijah Muhammad di cui Malcolm era stato per anni il primo e più importante oratore. Gli altri due accusati, anche loro militanti del Fruit of Islam furono arrestati sulla base di testimonianze confuse e contraddittorie in seguito, cinque giorni dopo l’attentato Aziz, cinque giorni più tardi Islam.

I due avevano un alibi di cui né gli investigatori né la corte tennero conto. Le descrizioni non corrispondevano al loro identikit. Uno dei testi chiave era un informatore dell’Fbi ma nessuno lo rese noto all’epoca. Nella sala c’erano agenti del Bureau in incognito, la cui presenza non fu denunciata, e la mattina del giorno dell’omicidio un giornalista del New York Daily News era stato avvertito da una telefonata dell’imminente attentato. Al processo, nel marzo 1966, Halim si dichiarò colpevole ma scagionò gli imputati senza però fare il nome. Li fece invece in due distinti affidavit, nel 1977 e 1978, dei quali non si è mai tenuto alcun conto. Secondo Les e Tamara Payne si tratta di due allora militanti della moschea della Nation of Islam di Newark, New Jersey, William 25X Bradley, l’attentatore che sparò i colpi fatali, e Leon Davis. Gli imputati furono tutti condannati all’ergastolo. Aziz fu liberato sulla parola del 1985, Islam nel 1987, Halim, l’unico dei tre che faceva certamente parte del gruppo omicida, nel 2010.

Malcolm aveva incendiato con le sue prediche i ghetti per tutti gli anni ‘50: si era convertito alla Nazione dell’islam in carcere, dopo essere stato tossicodipendente, rapinatore e pappone. Nei primi anni ‘60 i rapporti con Muhammad si erano però prima incrinati, poi rotti definitivamente. Malcolm non approvava i rapporti tra i Muslims e il Klan, in nome della comune fede nella separazione razziale, le infedeltà coniugali del maestro ne denunciavano l’ipocrisia. Lo scontro era però più profondo e esplose quando, dopo una sparatoria provocata dalla polizia di fronte a una moschea dei Muslims, Muhammad proibì al suo primo oratore di incitare i neri a reagire.

Il casus belli fu il commento di Malcolm sull’uccisione di John Kennedy: “Chicken Coming Home to Roost”, che in italiano suonerebbe come “i nodi che vengono al pettine”. Una cosa, aggiunse, “che non mi ha mai reso triste ma sempre contento”. Muhammad aveva invece inviato un messaggio di condoglianze e ordinato ai Muslims di evitare commenti. Malcolm fu punito per la sua disobbedienza con il divieto di parlare in pubblico per 90 giorni. Nel marzo 1964 Malcolm abbandonò la Nation of Islam, intraprese il pellegrinaggio alla Mecca, scoprì “il vero Islam”, incontrò molti leader africani. Al ritorno decise di fondare una nuova organizzazione ma i Muslims non lo avevano dimenticato né perdonato. Ricevette continue minacce di morte. Gli misero una bomba sotto la macchina.

Lo indicarono pubblicamente come un nemico da eliminare. Sulle responsabilità dei Muslims nella sua uccisione non ci sono dubbi. Sulle eventuali complicità di cui si avvalsero, a partire dall’Fbi ce ne sono sin troppi. L’Autobiografia di Malcolm X, frutto di una serie di colloqui con lo scrittore Alex Haley, in seguito autore di Radici, diventò subito popolarissima in tutto il mondo: il testo fondamentale non solo della grande rivolta nera in America degli anni ‘60 ma dell’intero movimento che esplose in tutto il mondo alla fine di quel decennio.