L'editoriale
Omicidio Mattarella, finché non verrà fuori la verità in Sicilia regnerà l’oscurità
Il tragico attentato che quarant’anni fa ha stroncato la vita di Piersanti Mattarella ha aperto una ferita non cicatrizzabile. Non soltanto per i familiari più intimi. Ma anche per una cerchia, che il tempo restringe, di compagni della sua vicenda politica (di questa cerchia faccio parte anch’io). Tutti fortemente interessati alla ricostruzione della verità su questo assassinio, le cui conseguenze non si sono ancora esaurite, e del contesto d’insieme in cui fu compiuto. Quando un avvenimento di questa portata (come anche il delitto Moro), non trova la ricostruzione oggettiva e quindi ragionevolmente veritiera, il vulnus aperto non viene sanato dal tempo e dallo sbiadimento della memoria. Anzi, a volte, e certamente sin dal primo momento, vengono addensati e cristallizzati elementi di confusione e di vero e proprio sviamento dalla verità storica.
Intanto la figura stessa di Piersanti Mattarella non può essere imbalsamata nel santino agiografico che ne viene fatto, a volte con marcati segni di forzatura arbitraria da parte di coloro che ancora oggi ne usano la memoria per scopi di parte. Soprattutto se si ha riguardo per la sua figura, ricca e complessa. Lo stesso crimine che lo ha colpito nasce dalla barbara reazione ai tratti forti della sua personalità. Un uomo dal carattere fermo e spigoloso, figlio, sposo, padre, politico, che si presenta sempre con i caratteri straordinari per la ricchezza della sua umanità matura e profonda, sempre illuminata da una fede religiosa autenticamente sentita. È probabile che nella determinazione dei suoi assassini ci sia stata la delusione di chi sperava di poterlo piegare. Egli fu, con un’espressione letteraria, un “uomo verticale”. Il suo impegno politico da democristiano nella Democrazia Cristiana, della cui storia – luci e ombre – andava consapevole e coerente interprete, fu un impegno totale. Le stesse linee del disegno politico che portò avanti si muovevano entro queste caratteristiche.
Eletto deputato all’Ars nel 1967, si era collegato, indipendentemente dalla caratterizzazione di corrente che aveva in quel tempo, a un gruppo che faceva capo all’onorevole Nino Lombardo, il quale portava avanti in quella legislatura una politica di rinnovamento del costume, con l’abolizione del voto segreto, che nella cronaca della vita politica regionale aveva determinato non pochi passaggi complicati, anche quello del milazzismo. Mattarella era antagonista irriducibile di questo modo di far politica. Le elezioni del 1971 segnarono per la Dc un momento negativo. Accanto alla riforma della burocrazia regionale era stata portata avanti una riforma della legge urbanistica che aveva determinato una reazione di destra molto forte: una autentica onda nera, in parallelo alla contemporanea rivolta di Reggio Calabria. La Dc siciliana – tutta – ma soprattutto con il gruppo dirigente che aveva avviato il rinnovamento – D’Angelo, Lombardo, Nicoletti, Parisi e Mannino – fu ferma nell’opposizione e resistenza a un’opinione che tendeva invece verso l’avvicinamento al Movimento Sociale.
Era anche una stagione politica difficile sul piano nazionale. Il centro-sinistra non godeva più dell’appoggio del Psi, si era esaurita la fase del secondo centro-sinistra. In quelle circostanze l’onorevole Moro aprì nella Dc la fase della strategia dell’attenzione verso il Pci. Con la segreteria regionale Nicoletti, che successe all’onorevole D’Angelo, la linea di riflessione proposta da Moro diventò la linea della Dc siciliana. L’onorevole Piersanti Mattarella con il padre onorevole Bernardo (scomparso nel 1971) seguivano le idee di Aldo Moro. E In Sicilia, con la segreteria Nicoletti, furono realizzate, prima di ogni esperienza nazionale, forme avanzate di collaborazione con il Pci. Il segretario del Pci, allora, era Achille Occhetto. E quando maturò il tempo, Piersanti divenne presidente della Regione sulla base di una maggioranza che ricomprendeva il Pci. Fu eletto appena cinque settimane prima del sequestro Moro e della formazione del governo Andreotti e cioè del governo di solidarietà nazionale con il Pci di Berlinguer in maggioranza.
Intanto nella linea politica della Dc siciliana, proprio in quel tempo, maturò una più attenta considerazione del problema mafia. Il ritardo dello sviluppo del Mezzogiorno, con l’aggravante di una insidiosa emergenza mafiosa, determinarono l’impegno della Dc siciliana che rappresentò la base politica della presidenza Mattarella. Per fedele ricostruzione ai fatti: nel Comitato Regionale della Dc siciliana si determinò una divaricazione tra maggioranza e minoranza sulla proposta di Nicoletti di collaborazione con il Pci e la proposta per la presidenza della Regione dell’onorevole Mattarella. Gli andreottiani, cioè l’onorevole Lima, si schierarono a favore. Anche per la sincronia con il Governo Andreotti. Costituito il Governo con una maggioranza che comprendeva il PCI, che assumeva la Presidenza dell’ARS con l’on.Pancrazio De Pasquale,il presidente Mattarella fu artefice di una concreta politica di cambiamento e di forte impegno per lo sviluppo della Sicilia.
Il contrasto alla criminalità mafiosa fu caratterizzato da un impegno civile e culturale del quale fanno fede gli atti pubblici del tempo.
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