Dopo cinque anni di dubbi, depistaggi, accuse, risposte formali e silenzi assordanti, la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro agenti dei servizi segreti egiziani nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni, avvenuto a gennaio del 2016. Per il governo di Al Sisi gli autori del delitto sono ancora ignoti, ma secondo il procuratore Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco ci sarebbero già nomi e cognomi dei responsabili: sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
Tutti appartenenti alla National Security egiziana, e accusati di sequestro di persona pluriaggravato. All’ultimo della lista, Sharif, vengono anche contestati i reati di lesioni aggravate e concorso in omicidio aggravato. L’insufficienza respiratoria acuta che secondo gli inquirenti ha causato la morte di Giulio sarebbe arrivata proprio a causa delle imponenti lesioni di natura traumatica provocate dalle sue percosse.
Dopo decine di incontri tra inquirenti e investigatori italiani e egiziani si è arrivati dunque alla formulazione di un quadro accusatorio. La svolta decisiva si ebbe il 4 dicembre del 2018, quando la Procura di Roma iscrisse nel registro degli indagati cinque 007 egiziani, alti ufficiali dei servizi segreti civili e della polizia investigativa d’Egitto, accusati di sequestro di persona. La richiesta di rinvio a giudizio ha indispettito il procuratore generale Hamada al Sawi, che ha espresso riserve sulla “solidità” del quadro probatorio.
“Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace”, ha riferito un testimone che per 15 anni ha lavorato nella sede della National Security dove Giulio è stato portato per essere torturato e poi ucciso. Al primo piano della struttura c’è la tristemente nota “stanza 13”, dove vengono solitamente condotti gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. “Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti”, ha raccontato il testimone davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del ricercatore italiano. L’uomo ha anche aggiunto di aver notato Giulio “mezzo nudo, con segni di tortura sul torace” e di averlo riconosciuto perché parlava italiano.
L’udienza preliminare dovrebbe essere fissata a maggio, e davanti al gup verrà affrontata anche la questione della mancanza di elezione di domicilio degli imputati, che le autorità del Cairo non hanno mai voluto indicare. Non è escluso che si proceda lo stesso con l’udienza nonostante manchi la certezza dell’avviso di notifica per gli interessati, vista la rilevanza mediatica che il caso ha raggiunto anche in Egitto.