Omicidio Regeni, video testimone: “Ho visto Giulio bendato e torturato con scossa elettrica, carcerieri nervosi per le tecniche che usava durante interrogatorio”

“Giulio dove ha imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio?”. E’ la domanda che ponevano più volte i carcerieri egiziani a Giulio Regeni, il 28enne ricercatore friulano rapito e ucciso al Cairo tra gennaio e febbraio del 2016. E poi ancora: “Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. L’ho rivisto che usciva dall’interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla. Lo stavano riportando alle celle”. A parlare, nel processo in corso a Roma contro quattro 007 egiziani, è un palestinese, all’epoca dei fatti detenuto con il ricercatore italiano. In un video tratto da un documentario di Al Jazeera e mandato in onda in aula, l’uomo ricorda alcuni episodi della detenzione di Regeni.

Omicidio Regeni, testimone: “Portato a spalla dai carcerieri”

Stando al suo racconto, “due carcerieri” portavano Giulio “a spalla verso le celle. Non era nudo, indossava degli abiti. Ho visto un altro detenuto con la schiena blu per i segni di tortura”. L’ex detenuto ha poi spiegato che nel corso di un interrogatorio, i torturatori, che usavano la scossa elettrica e la corrente, chiedevano insistentemente a Regeni: “Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio? Ricordo più volte questa domanda ripetuta in dialetto egiziano o in arabo. Non so se Giulio ha risposto o meno. Insistevano molto su questo punto, erano nervosi”.

Il testimone ha poi spiegato che oltre ai carcerieri, nel corso degli interrogatorio “c’erano gli investigatori, ufficiali che non avevo visto prima e un colonnello, un dottore specializzato in psicologia. Non c’era nessun contatto con il mondo esterno: la sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché”.

La sorelle di Regeni: “Era entusiasta di andare in Egitto”

A parlare, nel corso dell’udienza di oggi, martedì 19 novembre, anche Irene Regeni, sorella del ricercatore, sentita come testimone. “Ricordo una telefonata di mia madre, mi disse: ‘hanno fatto tanto male a Giulio’. La parola tortura però l’ho sentita per la prima volta al telegiornale. Giulio era un ragazzo normalissimo, gli piaceva divertirsi era un esempio per me, il fratellone che dava consigli. Avevamo punti di vista diversi sulle cose: lui era un umanista e io una scienziata. Eravamo sempre in contatto sulle cose importanti: ci sentivamo tramite chat e tramite mail. Giulio – ha spiegato la sorella – è stato sempre appassionato di storia, studiava l’arabo Dopo il corso triennale andò per la prima volta in Egitto. Era aperto a conoscere culture diverse, in particolare quella egiziana: era entusiasta di andare lì, era contento per la ricerca sul campo”.

I 4 imputati

Nel processo in corso a Roma sono imputati (in contumacia, assenti in aula senza nessun legittimo impedimento) quattro agenti egiziani della National Security, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.  Nell’ordinanza, la Prima Corte d’Assise di Roma ha sottolineato come il ricercatore sia stato torturato. “Brutale e gratuita violenza fisica e di inflizione di sofferenze corporali personali che non possono che avere prodotto, per la loro imponenza, gravissimo dolore e tormento in senso stretto, in un crescendo che ha originato l’evento morte, anche a voler trascurare il dato del patimento psicologico” scrivono i giudici, aggiungendo: “Le modalità prescelte per il sequestro non possono che essere ispirate a quelle finalità essenziali della tortura pubblica di tipo punitivo e/o intimidatorio”.