L'agguato nel Rione Traiano e il precedente del genero del boss
Omicidio Sergio Carparelli e la favola della camorra ‘garantista’: aspetta sentenza e ammazza presunto orco
La camorra che aspetta la sentenza di primo grado, arrivata dopo anni, prima di entrare in azione e uccidere un uomo condannato a inizio settembre a 8 anni per presunte violenze sessuali commesse nei confronti di due minori. Sarebbe questa l’ipotesi, assai suggestiva, relativa all’omicidio di Sergio Carparelli, 53enne crivellato alle tre di notte del 29 settembre scorso in via Marco Aurelio, nel Rione Traiano a Napoli. L’uomo è stato ammazzato in strada, non molto distante dall’abitazione in cui viveva con la madre. E’ stato raggiunto da sette proiettili, prima al torace e, una volta a terra, alla schiena.
Ma ci sono anche altri aspetti da tenere in considerazione oltre a quello sicuramente singolare di una camorra ‘garantista‘ almeno fino alla sentenza di primo grado per poi entrare in azione e uccidere il presunto ‘orco‘ autore delle violenze sessuali su un ragazzino e una ragazzina che sarebbero figli di un affiliato al clan.
Quando è stato affrontato dal killer, infatti, Carparelli era in strada con un braccio fasciato perché nei giorni precedenti era stato vittima di un pestaggio dopo alcune intemperanze poco gradite a chi gestisce gli affari illeciti nella zona della ‘44‘, così come è denominata l’area che gli investigatori considerano gestita dal clan Cutolo-Annunziata, attivi con diverse piazze di spaccio. Secondo quanto appreso dal Riformista, Carparelli era considerato un po’ il tuttofare della famiglia del ras Bruno Annunziata, che sta scontando in carcere una condanna a circa 10 anni di reclusione per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di droga.
Dalla custodia delle armi al dog-sitter, Carparelli era considerato una persona ‘fidata‘ dagli esponenti apicali del clan Cutolo-Annunziata, ancora operativo nonostante i numerosi arresti e l’avvio della collaborazione con la giustizia di Genny Carra, genero di Salvatore Cutolo, detto Borotalco, in carcere da anni. Carra, sposato con Candida Cutolo, figlia del boss, ha iniziato a collaborare a fine 2018. L’altro figlio di ‘Borotalco’, Enzo Cutolo, è detenuto anche lui da tempo. La coppia in passato è stata protagonista di una vicenda simile così come spieghiamo meglio alla fine dell’articolo.
Tornando all’omicidio del 29 settembre scorso, Carparelli era una persona che spesso andava in escandescenza e litigava in strada perché sotto l’effetto dell’alcol. Proprio a causa di questo mancato temperamento, veniva ‘educato‘ con violenti pestaggi da parte dei sodali dell’organizzazione. Pochi giorni prima di essere barbaramente ucciso l’ultima ‘lezione‘. Poi l’omicidio avvenuto nel cuore della notte con la vittima che si trovava in strada e aveva ancora i segni (braccio fasciato) dell’aggressione delle ore precedenti.
Le indagini sulla morte del 53enne sono condotte dai carabinieri e coordinate dalla Procura. Gli investigatori non escludono nessuna pista: dalla vendetta di esponenti del clan dopo la sentenza di condanna per abusi sessuali su minori a qualche intemperanza pagata a caro prezzo nel Rione Traiano, dove da anni, tranne qualche rara eccezione come quella relativa al periodo degli scissionisti Lazzaro-Basile (2015-2016), si è quasi sempre optato per la tranquillità a vantaggio dello spaccio. Pace e droga. Una massima che negli anni, dopo la guerra vinta dallo Stato a Scampia, ha trasformato il Rione Traiano nella piazza di spaccio a cielo aperto ed operativa h24 più grande della città di Napoli.
Le accuse di violenza sessuale contro Carra e la vendetta dei Cutolo
Carra, in passato, è stato accusato di presunti abusi sessuali dalla figlia di un affiliato. Un’accusa infamante, tirata in ballo presumibilmente per nascondere un vecchio debito non saldato dalla famiglia delle giovane, e vendicata dai Cutolo con l’esplosione di diversi colpi d’arma da fuoco all’interno dello stabile dove risiedeva la famiglia della 15enne. Una vicenda che ha visto Carra e altre persone coinvolte rinviati a giudizio negli scorsi mesi.
Il provvedimento cautelare scattò in seguito alla denuncia della famiglia della minore, avvenuta lo scorso ottobre 2016, che ha dato il via a un’attività di indagine, compiuta dai carabinieri e dalla Dda, che ha permesso di individuare anche attraverso le riprese di un sistema di telecamere di videosorveglianza privato (installato dal padre della vittima) e le intercettazioni telefoniche e ambientali, i mandanti e gli esecutori materiali dell’intimidazione armata.
© Riproduzione riservata