Prevista per il 3 maggio la sentenza definitiva
Omicidio Vannini, la lettera di Martina Ciontoli: “Marco moriva e io non avevo capito niente”
“Oggi ho 25 anni. Non so quante volte ho desiderato riaprire gli occhi per risvegliarmi da quello che avrebbe potuto essere solo un incubo terrificante… Avevo 19 anni, Marco 20, quando una notte, all’improvviso, cambiava tutto. Per mano di mio padre. Per uno scherzo… Io non avevo capito niente. Marco stava morendo. Chissà se e quando lo ha capito anche lui. Non oso neanche pensarlo è il mio pensiero fisso…”. Con queste parole Martina Ciontoli ha scritto una lettera ai giudici della Corte di Cassazione in vita della sentenza definitiva sul caso della morte di Marco Vannini prevista per il 3 maggio. La lettera è stata affidata al Tg2 e riportata dal Corriere della Sera in sintesi.
“È stato difficile capacitarsi di questo e rassegnarsi al fatto che il pregiudizio o una certa volontà riescono addirittura a cambiare la verità agli occhi degli altri. Allo stesso modo magari tutte queste mie parole potranno sembrare terrificanti se lette pensando che le abbia scritte un mostro, un’assassina… fredda, senza scrupoli, incapace di provare sentimenti e che per questo ha voluto la morte di Marco o lo ha abbandonato accettando che morisse come un cane. Vorrei che almeno qualcuno capisse che queste parole sono solo il risultato del tentativo che ho cercato di fare per tirare fuori almeno un po’ del caos che c’è dentro di me. Da anni non riesco a parlarne. Con nessuno. Neanche con chi mi è più vicino”.
“A volte non so comportarmi… a volte sono fuori di me. Come se il dolore sia troppo forte per essere spiegato, per essere capito… A volte mi sembra di non poter comprendere io stessa l’inferno che ho vissuto. E che vivo. Cosa provo nei confronti di mio padre. Cosa ho provato e provo per non aver potuto piangere la perdita di Marco insieme a Marina e Valerio che per me erano come una seconda famiglia…. Avrei dovuto chiamarli subito quando ho visto che Marco non si sentiva bene…per questo mi odiano e non si fidano di me…ma io in quel momento pensavo a capire lui cosa avesse, mentre si lamentava, poi si riprendeva, poi si lamentava…mentre mio Padre diceva che si era solo spaventato e aveva un attacco di panico… provavo a tranquillizzarlo… gli stavo vicino…”
“Marco era grave e aveva un proiettile in corpo…ma io non lo sapevo…non lo sapevo…e le mie azioni e i miei pensieri sono stati inutili per questo… Vorrei poter raggiungere il loro cuore, ritrovarlo, incontrarlo… Vorrei poterli abbracciare… ma so che la distanza è irrecuperabile, lo è stata sin dal primo momento, e che la loro disperazione è troppo grande per poter anche solo avere il dubbio che le mie parole e i miei sentimenti siano sinceri. Ormai all’immagine di un mio abbraccio inorridiscono…è impensabile per loro. E io devo accettarlo e rispettarlo. Non ho mai davvero pensato al carcere…neanche come ipotesi…nel mio futuro…di fronte alla consapevolezza della verità. Mi sto rendendo conto che fra poco probabilmente per come sono andate le cose…per quella che è stata la realtà costruita, dovrò confrontarmi con questa possibilità…e non so se sono in grado”.
© Riproduzione riservata