E' tornata in mare la Louise Michel
Ong salva 150 migranti ma Malta non lo vuole: altro respingimento illegale
Martedì è tornata in mare la Louise Michel, la nave umanitaria finanziata dall’artista britannico Banksy che prende il nome dall’anarchico francese del XIX secolo. Banksy, il più famoso artista di strada del mondo, nelle sue opere ha sempre affrontato il tema della crisi migratoria e ha voluto contribuire personalmente al sostentamento dell’imbarcazione che è anche una sua “opera”: dipinta di rosa e bianco riporta una ragazza che indossa un giubbotto di salvataggio e tiene in mano una boa a forma di cuore. La Louise Michel non attraversava la zona di ricerca e salvataggio dall’estate del 2020, quando aveva salvato 150 esuli al largo della Libia.
Dopo una lunga assenza in mare, “la Louise Michel è di nuovo operativa”, ha annunciato l’equipaggio su Twitter lunedì 3 gennaio. Poche ore dopo la nave ha salvato la vita a circa 110 persone nella zona di ricerca e salvataggio (SAR) di Malta nel Mediterraneo centrale su «una barca di legno che imbarcava acqua a causa del maltempo». È stato il Seabird, un aereo da ricognizione gestito dai soccorritori Sea-Watch, che per primo ha individuato i rifugiati in difficoltà, e ha passato la loro posizione sul Louise Michael. L’equipaggio della Louise Michel è riuscito a portare 31 rifugiati a bordo della loro nave, ma gli altri sono saliti sulla vicina piattaforma di gas offshore Miskar, che Shell gestisce per conto del governo tunisino.
La stessa Shell Tunisia Upstream ha confermato in una nota che alcuni migranti sono saliti sulla piattaforma offshore ieri intorno alle 20 e che hanno ricevuto «aiuti, in particolare acqua, cibo e vestiti asciutti». In un caso come questo, dove un’imbarcazione si trova in difficoltà nella zona di ricerca e soccorso maltese, dovrebbe essere Malta a coordinare il soccorso e fornire un porto sicuro. Dopo 14 ore dalla Louise Michel arriva la comunicazione che i profughi si trovano ancora sulla piattaforma «e che le autorità maltesi, che sono legalmente responsabili del coordinamento del loro salvataggio, si rifiutavano di comunicare». Siamo a martedì tardo pomeriggio, sulla scena si presentano due navi da guerra tunisine e una nave della cosiddetta Guardia costiera libica. Dalla nave Louise Michel assistono al trasbordo delle 80 persone su una delle due navi militari tunisine. L’operazione ha un nome ben preciso: è un respingimento illegale in piena regola. Solo che questa volta gli attori sono due: Malta, che come spesso accade finge di non vedere per lasciare campo libero nel suo spazio marittimo ai sequestratori libici travestiti da guardacoste (e in questo caso anche a delle non identificate navi della marina militare tunisina) e il colosso petrolifero Shell che è complice di violazione dei diritti umani.
«C’è da sperare che [i rifugiati] non siano stati restituiti all’inferno della Libia, ma nemmeno si può presumere che la Tunisia sia un paese terzo sicuro. Spettava a Malta salvare queste persone», ha spiegato Jacon Berkson, attivista dell’organizzazione di assistenza telefonica Alarm Phone: «in qualsiasi mondo sano, le forze armate di Malta interverrebbero in modo rapido e professionale per salvare le persone in difficoltà, indipendentemente dal motivo per cui hanno preso il mare in primo luogo. In un mondo normale sarebbe raro che le persone in cerca di rifugio abbiano bisogno di essere salvate perché viaggerebbero su una nave commerciale ben tenuta verso un paese a loro scelta».
Da Shell uno stringato comunicato in cui fanno sapere di avere «informato le autorità tunisine e lavorato a stretto contatto con loro per garantire la sicurezza delle persone a bordo della barca. Da allora sono stati trasferiti in sicurezza sulla nave della marina tunisina il 4 gennaio». Cosa si intenda per “in sicurezza” in quel lembo di mare in cui solo durante il periodo tra Natale e Capodanno sono state salvate più di 1.100 persone e dove oltre 32.400 persone sono state intercettate in mare e restituite in Libia nel 2021 è un mistero orribile ancora tutto da verificare.
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