Open Arms, la difesa di Salvini: “Nave doveva andare a Malta, Italia non aveva obblighi”

E’ stata depositata in giunta per le immunità la memoria del leader della Lega Matteo Salvini relativa al caso Open Arms, inchiesta che lo vede coinvolto per aver bloccato, la scorsa estate, lo sbarco dei migranti dalla nave mercantile battente bandiera spagnola e affittata dalla ong Pro-Activa Open Arms.

Tra i passaggi più significati della memoria difensiva l’ex ministro rimarca come l’indicazione del Pos spettava alla Spagna o a Malta, e non all’Italia, e che il comandante della nave ha deliberatamente rifiutato il Pos indicato successivamente da Madrid, perdendo tempo prezioso al solo scopo di far sbarcare gli immigrati in Sicilia come già aveva fatto nel marzo 2018 ricavandone un processo per violenza privata e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Salvini ricostruisce la vicenda ricordando che i primi Paesi contattati e informati da Open Arms dopo le operazioni di salvataggio erano stati la Spagna (Paese di bandiera della nave) e Malta (zona più vicina al punto dei salvataggi). “L’Italia non aveva alcuna competenza e alcun obbligo con riferimento a tutti i salvataggi effettuati dalla nave spagnola Open Arms in quanto avvenuti del tutto al di fuori di aree di sua pertinenza” spiega l’allora ministro dell’Interno. A dimostrarlo, lo scambio di corrispondenza tra La Valletta e Madrid nei primi giorni dell’agosto 2019 a proposito del Pos: c’è un reciproco palleggio di responsabilità ma non viene mai citata Roma. Contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale di Palermo, per Salvini “è sicuramente lo Stato di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio che deve indicare il Pos nei casi di operazioni effettuate in autonomia da navi ong”. Open Arms ha chiesto il Pos all’Italia la sera del 2 agosto ma, secondo Salvini, non può ricadere sullo Stato italiano l’onere di una risposta di competenza di altri Stati. Open Arms poteva dirigersi verso altri Paesi che avevano l’obbligo di accoglierla. Il primo agosto il decreto firmato da ministero dell’Interno, Difesa e Infrastrutture impediva alla Open Arms ingresso, sosta e transito e nulla cambiava il provvedimento del Tar del 14 agosto: non si può confondere l’ingresso in acque territoriali, a fini di sicurezza e navigazione e di assistenza alle persone bisognevoli, con il diritto allo sbarco e all’attracco. Lo confermano gli stessi legali di Open Arms che il 19 agosto chiedono una integrazione al precedente decreto cautelare del Tar per consentire approdo e sbarco.

Salvini ricorda che l’imbarcazione era omologata per sole 19 persone. Il comandante, dopo il primo salvataggio effettuato in zona sar libica il primo agosto con 55 persone portate a bordo, ne ha prese altre 69 il 2 agosto: doveva immediatamente dirigersi verso Spagna, Malta o Tunisia. Invece, “il comandante ha deliberatamente scelto l’Italia quale luogo di attracco e sbarco”. Infatti, si legge nella memoria, il comandante ha rifiutato il Pos concesso dalla Spagna il 18 agosto e addirittura rifiutato l’assistenza offerta dalla Capitaneria di Porto italiana che si era detta disponibile ad accompagnare la nave verso la Spagna, prendendo a bordo alcuni immigrati. In più, la stessa Spagna aveva inviato verso Lampedusa l’unità Audaz per dare assistenza alla Open Arms (18 agosto). È quindi paradossale affermare che, per il solo fatto di essere entrata in acque italiane senza aver ottenuto il Pos, possa configurarsi il reato di sequestro di persona. Gli eventi dell’agosto 2019 sono simili a quelli del 16 marzo 2018, che avevano coinvolto Open Arms e lo stesso comandante e rispetto ai quali la procura di Ragusa aveva già chiesto il rinvio a giudizio (accuse: violenza privata e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il Viminale è parte lesa).