Nella vicenda Open Arms, il ministro dell’Interno pro tempore Matteo Salvini è stato chiamato a rispondere del delitto di cui all’articolo 605 del Codice Penale, che punisce chi priva la vittima della sua libertà personale. Si tratta di un delitto doloso che presuppone la rappresentazione e la volontà dell’evento costrittivo delle volizioni cinetiche altrui.

Open arms, una nave in attesa

Nel caso di specie, il pm siciliano contesta il reato perché l’autorità ministeriale “ometteva, senza giustificato motivo, di esitare positivamente le richieste di POS […] così provocando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale dei predetti migranti, costringendoli a rimanere a bordo della nave per un tempo giuridicamente apprezzabile, precisamente, dalla notte tra il 14 ed il 15 agosto 2019 sino al 18 agosto 2019, quanto ai soggetti minorenni”. Il punto è ulteriormente esplicitato nella memoria conclusiva della Procura, in cui si afferma: “La indubbia illegittima condotta dell’imputato ha dunque dato luogo all’altrettanto indubbia e illegittima privazione della libertà personale di 147 persone, inflitta in violazione di precise norme di rango primario, non giustificata dall’esistenza di norme giuridiche che la potessero disporre o consentire, ed anzi posta in essere da chi rivestiva una posizione di garanzia (propria delle condotte omissive) derivante dalla attribuzione di pubblici poteri”.

Tra amministrativo e penale

Se si è colto bene l’intero costrutto accusatorio, non si sfugge dall’ingiustificabile trasformazione, dal passaggio da una attività amministrativa (sia pure in tesi illegittima), ad altra, dolosamente ispirata alla perpetrazione di un reato. Il salto logico capace di inficiare il paradigma accusatorio sarebbe dunque quello di “leggere” in chiave penalistica una condotta che ben può essere contestata con l’impugnazione al giudice amministrativo dei relativi atti. Ovvero essere foriera di risarcimento danni ma non venir sindacata dal giudice penale, rivestendola di una dolosità (rispetto al reato ex articolo 605 Codice Penale) del tutto estranea al focus della condotta dell’agente. Per fare un esempio: un vigile urbano che “blocca” pedoni o veicoli per un lasso di tempo definito, anche se sta regolando il traffico viario in modo illegittimo, non per questo risponderà del delitto di sequestro di persona rispetto ai pedoni impediti nel circolare. Qualora ciò che è stato qui ipotizzato fosse condivisibile, la riflessione sul bias cognitivo e sul suo peso in termini di dispersione della rara e preziosa risorsa costituita dalla giurisdizione (così le Sezioni Unite della Cassazione) si impone quale urgente e improcrastinabile necessità.

Open Arms, una difficile relazione tra poteri

Dunque il processo Open Arms si potrebbe rivelare un’ottima occasione per indagare criticamente sui rapporti (rectius: confini) tra funzione amministrativa e potere accusatorio penale, altrimenti indotto a stressare una fattispecie delittuosa fino a ricomprendere al suo interno anche comportamenti non direttamente orientati a un fine – come nella vicenda attenzionata – riduttivo della libertà altrui. Siamo ben lontani dal modello classico della sequestrata di Poitiers che interessò André Gide o dalla Prigioniera della Recherche proustiana. Una difficile relazione tra poteri, certo, da governare anche sulla base della distinzione (vale ancora ribadirlo) tra illegittimità (amministrativa) e illiceità (penale). E, soprattutto, da esperire nella consapevolezza che la discrezionalità dell’Amministrazione pubblica rappresenta un “orto intercluso”, sindacabile solo entro certi e ristretti limiti, finanche dal giudice penale.

Bartolo Conratter

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