Quante volte abbiamo detto che sarebbe bello se non ci fosse più alcun bisogno del Pride. Svegliarsi e accorgersi che non occorre più difendersi semplicemente per come si è e per quello che si desidera fare. Ma siamo purtroppo ancora molto lontani da questo. Si ha l’impressione che più la società s’indebolisce, più certe ataviche frustrazioni culturali tengano il punto. Sono sempre più convinta, infatti, che dietro tante manifestazioni di odio e discriminazione non si nasconda altro che una profonda insicurezza, perché chi è incapace di scegliere per sé stesso e di vivere con pienezza, in libertà e autonomia di pensiero, non può che sentirsi minacciato da chi invece ne è capace, da chi vive assecondando pacificamente la propria natura, rivendicando i suoi diritti e demolendo il totem insopportabile e ridicolo della “normalità”.

Purtroppo, la politica si fa interprete anche di tutto questo, ed è così che in nome di una presunta moralità e della difesa dei cosiddetti valori si continua – ovunque nel mondo e purtroppo anche in Europa – a porre limiti insensati a quanti, incolpevoli, non vorrebbero fare altro che vivere serenamente la propria vita. Si va però anche oltre, perché il nuovo vento di repressione dei diritti civili arriva ora anche a vietarne le libere manifestazioni di rivendicazione. Ed è quello che sta succedendo in Ungheria, dove il Pride, che è nato lì 30 anni fa, quest’anno si vuole addirittura vietare per legge. Il motivo lascia senza parole, perché consisterebbe – a sentire il premier Orbán e la sua maggioranza – nel desiderio di “difendere i bambini dalla propaganda Lgbtq+”.

Di fronte ad argomenti del genere c’è in realtà poco da ribattere, perché nei fatti non è possibile intavolare un discorso sensato quando il piano è quello della totale irrazionalità. Inutile fare appello alla scienza, così come appare tristemente vano qualsiasi tentativo di rappresentare la realtà per come è, e non per come si teme possa essere in virtù di convincimenti destituiti di qualsiasi ragionevole fondamento. Naturalmente gli organizzatori dello storico Pride ungherese stanno in tutti i modi cercando di far sentire le loro ragioni, ma è molto improbabile che la schiacciante maggioranza che sostiene il governo possa venire a miti consigli.

Si aggiunge così alla determinazione omofoba il conforto che viene da azioni dello stesso segno assunte altrove nel mondo. La centralità di Putin nel dibattito globale – non solo bellico – incoraggia i censori di ogni latitudine da tempo: in Russia, per esempio, il Pride è stato vietato già nel lontano 2012. E altrettanto si può dire dell’effetto che su tutti costoro stanno avendo le politiche di totale chiusura di Trump: anche in America, infatti, si sta andando a passo spedito indietro nel tempo, cancellando storiche e sofferte conquiste di civiltà.
Anche se nessuno ha voglia né intenzione di arrendersi, non si può non riflettere sulla portata di questo arretramento: se dopo 30 anni dal primo Pride si arriva ad assistere al divieto di quella manifestazione, proprio nel Paese in cui è nata, allora forse qualcosa ha smesso di funzionare. Ed è urgente, invece, che la corsa dei diritti riprenda e nella giusta direzione.