Dopo 45 giorni di guerra, le Israel defense forces hanno ormai preso il controllo del cuore della città di Gaza e del nord della Striscia. Le operazioni militari iniziano a espandersi anche verso sud, puntando su aree non ritenute in precedenza prioritarie per le Tsahal, ma fondamentali in questa nuova fase per distruggere Hamas e per individuare gli ostaggi.
E anche se non si fermano i lanci di razzi contro lo Stato ebraico – a conferma del potenziale di fuoco delle milizie palestinesi che ieri hanno fatto risuonare di nuovo le sirene a Tel Aviv – è all’interno della roccaforte di Gaza che si concentra il lavoro più difficile per le Idf: snidare i combattenti e i dirigenti della sigla palestinese e colpire la rete di tunnel. Sono centinaia gli accessi a questa rete sotterranea che sono stati individuati, distrutti o resi inutilizzabili dagli uomini delle Idf. Alcuni di questi accessi erano, come noto, anche nell’ospedale al Shifa, da cui in questi giorni sono stati portati via 29 bambini prematuri, condotti in Egitto con le ambulanze attraverso il valico di Rafah.
L’ospedale è l’epicentro dell’attuale battaglia e crocevia fondamentale sia per il destino degli ostaggi sia per gli spostamenti dei massimi dirigenti di Hamas nella Striscia. Ieri, un medico ha raccontato che, quando lavorava nella struttura sanitaria, una parte di essa era inavvicinabile e sorvegliata: indizio sul suo utilizzo estraneo agli scopi sanitari. E un destino simile sembra essere quello dell’ospedale indonesiano, circondata nelle scorse ore dalle truppe di Israele. La rete “metropolitana” si estende ovunque, con la città che è raggiunta in maniera capillare da questo reticolato di gallerie i cui accessi possono essere tanto in infrastrutture civili quanto in semplici abitazioni private. Motivo per cui le vittime civili sono un tragico rischio che è difficile escludere del tutto e su cui ieri è arrivato un nuovo monito del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha parlato di una “uccisione di civili che non ha eguali”.
Il lavoro delle forze armate israeliane, tra trappole, nascondigli, e una popolazione usata come scudo umano, è estremamente difficile. E per ottenere dei risultati tangibili, le Idf lavorano con intelligence, truppe di terra e aeronautica. L’esercito israeliano ha fatto sapere che da quando è iniziata l’invasione di Gaza ha catturato circa 300 combattenti di Hamas, che sono stati poi condotti nello Stato ebraico per essere interrogati. Dalle loro dichiarazioni sembra siano state ottenute informazioni sui tunnel, sulle armi e sui depositi, ma anche sui metodi con cui si alimenta e si muove l’intera organizzazione terroristica che controlla Gaza. Non solo: l’Unità 504 dell’intelligence militare israeliana ha anche fatto sapere di avere ricevuto migliaia di telefonate da parte dei palestinesi per fornire dettagli che possono essere utili per colpire Hamas. E sono decine, se non centinaia, gli operativi dell’intelligence dello Stato ebraico che si trovano ora a Gaza e nella Striscia.
Un’opera che comporta anche la scoperta di nuove verità riguardo l’attacco del 7 ottobre. Come quella contenuta in un documento visionato da Adnkronos e che è stato rinvenuto addosso ad alcuni miliziani che hanno preso parte all’assalto nel sud di Israele: una guida di decine di pagine per usare armi biologiche. Parallelo a questo compito, c’è poi quello che in questa fase è altrettanto prioritario per il governo di Benjamin Netanyahu – sempre più sotto pressione interna – e per la comunità internazionale, Stati Uniti in primis: liberare gli ostaggi. Impegno che vede in prima linea anche la diplomazia, con l’accordo mediato dal Qatar per la liberazione di 50 ostaggi in cambio di una breve tregua nei combattimenti e di centinaia di giovani e donne palestinesi liberati dalle prigioni israeliane. Il negoziato è stato seguito anche dal capo del Mossad, David Barnea, e dal direttore della Cia, William Burns. E per il presidente Joe Biden, che proprio ieri ha ribadito il suo ottimismo per la finalizzazione dell’accordo, è da settimane un elemento centrale della propria strategia diplomatica in Medio Oriente.
Non l’unico, perché per la Casa Bianca è prioritario anche evitare l’allargamento del conflitto, specialmente in un momento in cui potrebbe arrivare una forma di tregua – pur limitata – nella Striscia. Non a caso, ieri il portale Axios ha rivelato che da Washington è sbarcato in Israele l’inviato speciale Usa, Amos Hochstein, il cui obiettivo è proprio quello di discutere della situazione in Libano e di premere sul governo Netanyahu affinché non si arrivi a una pericolosa escalation. Nelle ultime 24 ore, dal sud del Paese dei cedri sono stati lanciati 25 razzi e tre droni hanno colpito una base israeliana nel nord. Le Idf hanno risposto con attacchi contro Hezbollah, e secondo alcuni media avrebbero colpito una chiesa a Yaroun e la casa di un deputato sciita. Il timore di un’espansione del conflitto, oltre a riguardare il Libano e la Cisgiordania, è stato poi ulteriormente confermato dalla cattura nei giorni scorsi di una nave nel Mar Rosso. Il sequestro è avvenuto ad opera della milizia Houthi, legata ai desiderata dell’Iran, anche se Teheran ha smentito ogni accusa su una sua regia occulta. La Galaxy Leader, come accaduto più volte durante la cosiddetta “guerra ombra” in mare tra Iran e Israele, è un’imbarcazione solo collegata a Israele. Il cargo, infatti, batte bandiera delle Bahamas, è di proprietà britannica, viene gestito da una società che ha sede in Giappone ma ha dei legami con il tycoon israeliano Abraham Ungar. Eventuali azioni di questo tipo rischiano di aumentare con il passare dei giorni.
Un pericolo che preoccupa tutti gli Stati interessati alla stabilità delle rotte commerciali e alla politica del Medio Oriente. A tal proposito, oggi è attesa una riunione virtuale dei Brics proprio su Gaza. Mentre ieri è tornata a parlare anche la Cina, che ha ribadito la linea sulla soluzione dei due Stati.