Abbiamo scritto più volte, e tante volte anche su questo giornale, di quanto sia stupido, irresponsabile, pigro dichiarare “fiducia nella magistratura”. Decenni di malversazione del potere giudiziario obbligano infatti a non avere proprio nessuna fiducia nell’amministrazione della giustizia e in quelli incaricati di gestirla, e semmai bisogna – per quel che ancora si può – avere fiducia nel diritto, nella possibilità che esso si affermi non ostante e anzi contro il sacerdozio togato che ne fa carne di porco.

E tuttavia non ci rallegriamo del crollo di credibilità della magistratura raccontato dai sondaggi circolanti in questi giorni: e quando vediamo che quel monito (“abbiamo fiducia nella magistratura”) magari esce ancora meccanicamente di bocca al politico di turno, ma davvero non è più accreditato presso la maggioranza dei cittadini, sentiamo che un altro bene importante è andato perduto. Ed è un’altra responsabilità – gravissima anche questa – dell’eversione giudiziaria: aver privato il cittadino che sia vittima di un sopruso del potere pubblico o privato, dell’arbitrio di chi ha più mezzi e agganci, della slealtà di chi si mette sotto i tacchi ogni regola per imporre la propria, averlo privato della speranza che almeno ci sarà un giudice cui fare appello per veder riparata quell’ingiustizia.

Quella speranza, semmai c’è stata, non c’è più, ed è sostituita dalla richiesta di un po’ di manette e un po’ di galera, una pretesa abbondantemente ripagata dalle assicurazioni della magistratura televisiva che volentieri offre la propria disponibilità per la realizzazione di quel bel programma. Ma proprio mentre si incattivisce questo cortocircuito civile, con la fiducia nella magistratura pervertita nell’istanza forcaiola, si registra appunto il decadimento della credibilità pubblica di quella corporazione: con il risultato che la giustizia è percepita e desiderata, alternativamente, come cosa esclusivamente corrotta o puramente violenta.

Per capirsi: o Palamara o Gratteri. La speranza nella terza possibilità – e cioè nello Stato di diritto – ci è sottratta. E a sottrarcela è la combinazione di quelle due degenerazioni, il doppio tratto distintivo della giustizia italiana: traffici nelle nomine e rastrellamenti giudiziari.