L’intervista di ieri a Enrico Morando ha fra gli altri meriti quello di storicizzare la sciagura che si è abbattuta sulla giustizia italiana. Riassumo arbitrariamente: c’era una volta la guerra fredda quando la libertà era sotto tutela delle forze oscurantiste. Poi venne l’ 89 con la clamorosa caduta del muro di Berlino, e allora- come aveva gridato ai quattro venti Francesco Cossiga – tutto cambiò e sarebbe stato indispensabile correre ai ripari prima che fosse troppo tardi. Cossiga fu dichiarato pazzo, non accadde nulla, ma i magistrati cominciarono a fare il loro lavoro anticorruzione.

È vero come dice Morando che Mani Pulite non fu la causa ma l’effetto, e tuttavia voglio ricordare che fu l’effetto di una decisione americana: per lunghi anni l’operazione Clean Hands era stata concepita e costruita da un pool di procuratori americani e italiani, con il progetto nobile di colpire e castigare una classe politica che aveva predato grazie alla propria insostituibilità, e abbatterla creando lo spazio che sarebbe stato occupato dalla classe dirigente di una parte del Partito comunista, cui era stato negato l’accesso al potere a causa della guerra fredda.

A quel punto, dice Morando, la sinistra (che lui chiama genericamente il Parlamento) trovò molto comodo non fare nulla e lasciare che magistrati crociati si scatenassero contro la vecchia classe dirigente per aspettare il momento buono in cui sostituirla politicamente appunto. Ma i magistrati crociati e giustizieri non ci misero molto a capire che si era data una circostanza storica magnifica che permetteva loro di riconoscere a se stessi il ruolo di supplenti della politica mancante. Il re Montezuma si dice che abbia detto con tono sprezzante a Cortes: noi discendiamo dagli aztechi, voi da una barca. In Italia la legittimazione politica discende dall’unico potere riconosciuto che è quello del sovrano elettore. I magistrati non discendono da quella legittimazione ma da una barca che è stata la grande occasione per organizzare la supplenza della politica e anzi per castigarla e ridurla in stato di cattività attraverso la continua minaccia degli avvisi di garanzia che, opportunamente recapitati o resi accessibili, potevano determinare la pubblicazione sulla stampa che accompagnava questa gigantesca operazione e provocare svolte politiche radicali, tanto da cambiare il corso degli eventi.

Così accadde con la pubblicazione dell’avviso di garanzia a Berlusconi che era al suo primo governo mentre presiedeva un summit mondiale a Napoli sulla criminalità, che fu costretto alle dimissioni per la rivolta dell’alleato leghista Bossi, il quale trovò indecente proseguire con lui il cammino iniziato a causa di quell’avviso di garanzia. Quell’avviso di garanzia non diventò mai un reato e tantomeno una condanna, perché fu riconosciuto infondato: il fatto non sussiste. Ma il governo della maggioranza cadde per essere sostituito da un governo di tecnici guidato da Lamberto Dini. In quel momento tutte le forze democratiche brindarono anziché sentire puzza di bruciato, perché il governo dell’odiato tiranno era a stato abbattuto. Fu uno dei tanti momenti in cui, dovendo scegliere fra vantaggio e democrazia, fu scelto il vantaggio, ma con l’accorgimento pilatesco di lasciare che fosse la magistratura a compiere il lavoro della politica. L’unico tiranno realmente abbattuto in quel momento fu la democrazia intesa come relazione univoca fra l’espressione del voto e l’espressione del governo. In Italia di queste relazioni univoche ne abbiamo avute molto poche, specialmente dopo la fine della guerra fredda.

Abbiamo avuto e tuttora abbiamo dei sistemi legittimati e sostituitivi che rimpiazzano le espressioni della volontà popolare quale che essa sia. E appunto tutto ciò è avvenuto sotto gli occhi di tutti. Il massacro è stato compiuto in maniera visibile e visibile era il responsabile: basta vedere gli esiti finali della grande operazione Mani pulite che ha portato a una serie di morti ammazzati per suicidio. Suicidi misteriosi come quello di Raul Gardini, che prima si fa una doccia e una sauna e poi dopo aver preso un aperitivo distrattamente si spara una revolverata. Suicidi tecnicamente impossibili come quello di Cagliari che si uccide ficcando la testa in un sacchetto di plastica (provateci voi se ci riuscite) e una serie di condanne che però ebbero l’effetto di decapitare la famosa Prima repubblica, preparare la successione al trono attraverso un’azione politica di una magistratura consapevole di agire in senso politico per uno scopo politico priva di qualsiasi legittimazione democratica perché discendente da un concorso e non da una chiamata alle urne.

Quel che accade oggi è la conseguenza di quel che è accaduto prima, con la differenza che ciò che è accaduto prima è stato giustificato e coperto in quanto strumento con cui raggiungere attraverso mezzi non politici, l’obiettivo politico. Karl von Clausewitz diceva che la guerra non è che la prosecuzione della politica ma con altri mezzi. E infatti noi abbiamo avuto la prosecuzione della politica con i mezzi offerti da una quota di magistrati autodichiarati supplenti della democrazia in aperta ribellione e disobbedienza, fra gli applausi e qualche rimbrotto, ma in genere applausi.
Il che peraltro è anche discutibile. Ma le cose sono a questo punto: quel che sta accadendo è lo scoppio di una batteria di petardi che ormai mostrano le crepe di una fortezza priva di consistenza, in cui la supplenza della politica è diventata appropriazione indebita, mercimonio delle cariche, scambio di influenze e di favori, intimidazione attraverso querele cui è praticamente impossibile opporsi specialmente per i giornalisti coraggiosi dal momento che, per dirla con Palamara, cane non mangia cane.

E, dunque si finge meraviglia se ora ci troviamo di fronte al caso curioso in cui un sostituto procuratore che, temendo l’insabbiamento di un dossier esplosivo, si rivolge a un magistrato di cui si fida ma compiendo atti irrituali. Così si leva il fitto mormorio sull’irritualità che sarebbe il dito nell’occhio che non vedrà mai la luna. La luna non è quella. La vera luna è la rinuncia del Parlamento a legiferare sulla magistratura. Che non è un potere. Purtroppo, questa sciocchezza dei tre poteri che ancora si recita compuntamente sillabando il nome di Charles-Louis de Secondat, Baron de la Brède et de Montesquieu, come se fossimo ancora dispersi con i cesti del picnic fra Versailles e la Pallacorda. E seguita ad essere ripetuta ritualmente mentre ci sembra che tutto il potere in democrazia sia quello legittimato dal popolo, mentre la magistratura esercita la funzione di applicare codici e regolamenti. Dovrebbe solo assicurare l’esercizio della funzione della giustizia che il popolo desidera garantirsi indipendente giusta e veloce. Per questo esiste anche il Csm. Che però non funziona più perché è diventato un mercato di influenze, carriere, favori, livori, vendette, promozioni, intrusioni, ribellioni e occupazione abusiva del suolo e del ruolo della politica, cioè del Parlamento che nel frattempo è stato sottoposto alla soluzione finale del grillismo. I forni del Vaffa.

Ormai il cadavere con i pesi che lo tenevano sott’acqua affiora in uno spettacolo da film dell’orrore, che richiede il nastro giallo della “Scena del crimine” e l’autopsia. Che, poi, sarebbe una Commissione d’inchiesta capace di stabilire che cosa, come e per responsabilità di chi tutto ciò è accaduto. Ma il vero passo deve essere quello con cui il Parlamento – cioè la politica, unico sovrano – avoca a sé il privilegio di decidere e lo fa legiferando. Tutto ciò accadrà se e soltanto se sarà possibile non banalizzare i delitti nella casa dai vetri sporchi. E richiederebbe quella cosa oggi estinta che si chiama giornalismo. La prova la conosciamo già: viviamo in un’epoca vacua in cui un geniale signor Fedez può rubare la scena come il pifferaio magico attirando su di sé riflettori e l’apertura delle prime pagine, essendo le successive, dedicate all’insignificanza.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.