L'intervento
Palamaragate, il sistema clientelare coincide con la magistratura stessa
Parte il processo disciplinare a Palamara e subito si ferma. Scopriremo tra un po’ se la sezione disciplinare del Csm si comporterà come dovrebbe, facendo luce sulla vera, grave, violazione deontologica che può essere ascritta a Luca Palamara, cioè quella di essere stato parte integrante di un sistema di potere che ha minato, e mina, l’autonomia e l’indipendenza interna della magistratura. Perché di questo si tratta, ma è forte il sospetto che l’organo disciplinare opererà, principalmente, per mettere Palamara fuori dalla magistratura e, con lui finalmente fuori dai cabasisi, anche la polvere sotto il tappeto. Da diversi decenni la magistratura italiana difende il proprio potere intonando, a volte a ragione, ma assai più spesso in maniera strumentale, il refrain sulla necessità di tutelare la propria indipendenza e autonomia rispetto all’esterno; lo fa di preferenza puntando il dito contro la politica nei – pochi – momenti in cui la stessa politica mette in campo autonome proposte, quasi sempre non gradite, sui temi giudiziari.
L’apoteosi di questo atteggiamento fu quando si discusse della riforma dell’ordinamento giudiziario: i magistrati italiani si opposero fieramente sfilando durante le cerimonie di apertura dell’anno giudiziario con la il testo della Costituzione in mano. Ma doveva essere una edizione abusiva, visto che l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario era imposto dalla settima disposizione transitoria che volutamente l’Anm ignorava. Il problema della indipendenza e autonomia interna, invece, la magistratura italiana lo ignora da decenni, forse perché consapevole di avere la coscienza sporca. Altrimenti non si spiegherebbe la gigantesca amnesia collettiva dell’unica magistratura di un Paese occidentale che vede la sua vita interna regolata da raggruppamenti “esterni”, strutturati come centri di potere, quali sono le correnti. Esterni perché non istituzionali, ma libere associazioni, che stabiliscono, e anche questo è un segreto di Pulcinella, rapporti di carattere schiettamente politico con i propri referenti di partito, fuori e dentro il Csm e le istituzioni.
La lista testi che ha depositato Palamara (e che la sezione disciplinare probabilmente falcidierà) si propone di dimostrare la operatività di questo “sistema”, e rappresenta, più che un argomento a difesa una gigantesca ed ingombrante chiamata in correo. Comunque come tale viene avvertita, all’interno ed all’esterno della magistratura. Il che, come si coglie anche da alcune interviste del diretto protagonista, fa pensare che il nostro sia pronto a passare alla politica politicienne, sapendo – poiché conosce i suoi più di chiunque altro – che se la battaglia per la toga è persa il Paese dei pentiti può sempre collocarlo da qualche altra parte, magari in Parlamento. Il problema vero è che la rappresentazione della vicenda Palamara alla stregua di una saga di pentitismo correntizio – che Palamara condivide con i suoi attuali avversari – è funzionale a lasciare le cose come stanno poiché parte dalla illusione ottica, o se si vuole dal vero e proprio imbroglio logico, secondo il quale il “sistema” – quello descritto dal Palamara “pentito” che coinvolge tutto l’associazionismo in magistratura, oppure quello descritto da una nutrita schiera di sepolcri imbiancati, alcuni dei quali in toga d’ermellino, che puntano il dito solo contro le “mele marce” – prescinde da un dato di realtà inoppugnabile: se esiste un sistema clientelare esso coincide con la magistratura stessa. Tutta la magistratura.
Se ci si racconta che l’avanzamento in carriera dei magistrati, tutti i magistrati e per ogni carica, anche la più insignificante, era legato a logiche di spartizione tra le correnti, ciò significa che non solo la stragrande maggioranza dei magistrati italiani lo sapeva, e non lo denunciava, ma che ne prendeva parte attivamente anche solo rivolgendosi alle correnti per avere quello cui pensava di aver diritto. Ovviamente non tutti i magistrati lo facevano o venivano premiati, anzi probabilmente le vittime sono state anche numerose, ma rimane il fatto che i magistrati che lo hanno pubblicamente denunciato, da trenta anni a questa parte, si contano sulle punte delle dita di un mano. Perché va così quando un sistema clientelare funziona: alla sua base sta il consenso. Insomma, se qualcuno pensa che la vicenda Palamara sia l’8 settembre di un sistema malato, pensi a riformare la magistratura dalla base, altrimenti finisce come sempre nel paese degli “antemarcia”, ovvero degli antifascisti post bellici e degli elettori democristiani non dichiarati: il sistema sopravvive ai suoi epigoni così come ai suoi capri espiatori, perché nessuno si preoccupa di cambiarne il tessuto connettivo.
Dalla base significa cambiando la composizione del Csm, istituendo un’alta corte di disciplina esterna all’organismo elettivo, innovando i criteri di accesso in magistratura. Quel sistema si fonda, infatti, prima di tutto su di una concezione “proprietaria” della giustizia che è propria della stragrande maggioranza dei magistrati italiani, che non ha nulla a che vedere con la autonomia ed indipendenza ed è il vero problema di struttura: o si cambia quello o tutto rimarrà come prima, anche perché affratella vittime e carnefici. Durante un dibattito radiofonico un magistrato, Alfonso Sabella, che pure raccontava le sue disavventure di magistrato estraneo alle correnti e perciò pregiudicato nella sua carriera, ha dichiarato che, però, nella concezione proprietaria della giustizia da parte della magistratura in realtà non ci vedeva nulla di strano, e che anzi era legittimata proprio dalle garanzie di autonomia ed indipendenza che la Costituzione garantisce. Ecco, finché i magistrati italiani ragioneranno così il sistema rimarrà lo stesso.
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